Le foreste vetuste resistono ai cambiamenti climatici

I boschi vetusti costituiscono un patrimonio di inestimabile valore dal punto di vista ecologico ed ambientale in quanto assomigliano tantissimo alle foreste primordiali europee. Ricordano quindi quel paesaggio forestale naturale diffuso in tutta Italia ed Europa prima che l’uomo intervenisse pesantemente per rompere gli equilibri e sconvolgere il funzionamento di gran parte degli ecosistemi naturali. Si stima che ad oggi le foreste vetuste europee occupano solo lo 0.7% dell’area boschiva totale.

Un gruppo di ricercatori italiani e spagnoli in uno studio pubblicato di recente e condotto all’interno del Parco Nazionale del Pollino, la più grande area protetta di nuova istituzione in Italia, ha dimostrato che i boschi vetusti sono in grado di resistere alle modifiche del clima. Nonostante l’acuirsi dei fenomeni estremi legati ai cambiamenti climatici e la ragguardevole età secolare degli alberi più vecchi, le piante continuano a mostrare una crescita stabile o addirittura in aumento ad altitudini più elevate. Si tratta di un risultato rilevante considerato quello che sta accadendo in ambiente mediterraneo negli ultimi decenni, dove diversi ecosistemi forestali a causa dei cambiamenti climatici mostrano segni evidenti di declino della crescita e peggioramento dello stato di salute, con conseguenze negative in termini di sequestro del carbonio, biodiversità e servizi ecosistemici. Tale risultato evidenzia che i sistemi più sono complessi strutturalmente, come nel caso dei boschi vetusti e maggiore è la loro capacità di mantenere una elevata funzionalità di fronte al riscaldamento globale, resistenza che può mancare in quei popolamenti in cui l’uomo è intervenuto apportando con la gestione una semplificazione.

Un altro aspetto interessante emerso da questa ricerca è legato al confronto di crescita nella fase giovanile. Grazie alla presenza sullo stesso soprassuolo di piante giovani e adulte, si è potuto confrontare la crescita giovanile degli individui più vecchi con quella attuale degli individui più giovani. Questi ultimi hanno mostrano una crescita più accelerata soprattutto a quote maggiori come conseguenza dell’aumento delle temperature. Nel lungo periodo questa accelerazione potrebbe avere ricadute dirette sulla longevità di queste piante poiché a causa del riscaldamento globale potrebbe ridursi il numero di alberi con età ragguardevoli. 

Foto di A. Schettino: Parco del Pollino, faggeta di Cozzo Ferriero, patrimonio dell’UNESCO

Lo studio è stato condotto lungo un gradiente altitudinale del parco nazionale del Pollino dove vivono alcune specie di conifere (pino loricato e abete bianco) e latifoglie (faggio e cerro) peculiari degli ambienti montani dell’area del Mediterraneo centrale e vegetanti all’interno di alcuni lembi di boschi vetusti. I siti sono stati selezionati per il loro valore biologico ed ecologico, rappresentando un eccezionale esempio di foresta vetusta in Europa con cicli praticamente intatti grazie alla presenza di alberi di dimensioni notevoli, alberi morti in piedi, abbondante necromassa al suolo e un’elevata eterogeneità strutturale.  In particolare, nel massiccio del Pollino sono stati censiti alcuni degli alberi più longevi: Italus (P. leucodermis) che con 1235 anni è l’albero datato più vecchio d’Europa e Michele e Tenore di oltre 620 anni, i faggi vecchissimi nella faggeta del Pollinello recentemente dichiarata patrimonio mondiale dell’Unesco insieme alla faggeta di Cozzo Ferriero. Questi popolamenti sono ubicati in aree montane caratterizzate da condizioni topografiche estreme (in pendii ripidi e suoli poco profondi), ciò ha permesso loro di rimanere quasi intatti per secoli. Infatti l’uomo li ha abbandonati, contribuendo alla loro transizione a condizioni più naturali.

Sebbene vi sia una crescente attenzione per questi ecosistemi ad alta naturalità, la conoscenza degli impatti a lungo termine dei cambiamenti climatici in ambiente Mediterraneo è ancora limitata. Questi risultati potrebbero avere rilevanti implicazioni nella mitigazione dei cambiamenti climatici, nei programmi di sostegno alla conservazione della biodiversità e per il ripristino della naturalità delle foreste. Infatti la conservazione e il restauro degli ecosistemi montani rappresenta un obiettivo importante (15.4) dell’Agenda 2030 e ora sappiamo che investire sulle foreste vetuste risulta essere la migliore assicurazione nella transizione ecologica in atto per garantire alle generazioni future un pianeta vivibile. Si tratta infatti di attuare una strategia win win capace di perseguire quel disaccoppiamento tra pressioni sugli ecosistemi naturali e sviluppo economico, in questo caso rappresentato dalla valorizzazione ecoturistica dei paesaggi montani in rewilding.

Foto di copertina di A. Schettino: Parco del Pollino, faggete e pino loricato di Serra delle Ciavole

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Francesco Ripullone
Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari e Ambientali - SAFE, Università della Basilicata, v.le dell’Ateneo Lucano 10, 85100 Potenza (Italy) | Altri Posts
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Instituto Pirenaico de Ecología (IPE-CSIC), Avda. Montañana 1005, 50192, Zaragoza (Spain) | Altri Posts
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SAFE - Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali
Università degli Studi della Basilicata

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