Spunti di riflessione in preparazione del convegno “Biomasse legnose opportunità o problema per la mitigazione della crisi climatica?”

Solo qualche giorno fa, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha trasmesso a Bruxelles la “Strategie di sviluppo a basse emissioni di gas serra di lungo periodo” del nostro Paese. Il documento elaborato in conformità a quanto stabilito nell’Accordo di Parigi, individua tre direttrici fondamentali per ridurre significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento climatico: la riduzione della domanda di energia; l’incentivo all’utilizzo di risorse rinnovabili e la produzione d’idrogeno; il miglioramento e l’ampliamento delle superfici verdi. 

Anche i boschi italiani sono chiamati a svolgere un ruolo importante nel processo di adattamento ai cambiamenti climatici attraverso la concretizzazione di alcune azioni come la prevenzione degli incendi, il ripristino dei boschi degradati e i rimboschimenti. Tra queste azioni la Strategia prevede anche “l’utilizzo appropriato di biomasse forestali per la produzione energetica”.

L’uso delle biomasse come fonte di energia rinnovabile e sostenibile è un tema entrato con forza nel dibattito politico-economico ed ambientale degli ultimi anni e ha visto la partecipazione di ampi settori della società civile, della scienza e delle Istituzioni. Tale dibattito ha assunto spesso i connotati di un confronto più che vivace a testimonianza dell’importanza delle questioni che si pongono e si gioca fondamentalmente sul riconoscimento di un ruolo alternativo ai combustibili fossili da parte delle biomasse legnose e su una domanda. Le biomasse legnose possono essere considerate carbon neutral ossia a zero impatto climatico? 

Secondo i firmatari della lettera destinata ai principali leader politici mondiali, promossa dal botanico Peter Raven e sottoscritta da oltre 500 scienziati, vi sono ragioni evidenti per credere che l’uso delle biomasse provenienti dalle foreste provochi un “debito di carbonio” ossia un elevato aumento delle emissioni in atmosfera e quindi che non possano essere considerate neutrali. Al conteggio di tale debito andrebbero computate le emissioni e le perdite dovute al taglio e alla lavorazione del legno ancora prima che possano produrre energia e alla sostanziale inefficienza in termini di carbonio. Secondo questi scienziati infatti, l’uso del legno per fini energetici produrrebbe una quantità di carbonio -per unità di chilowattora di calore o di energia prodotta- da due a tre volte superiore dei combustibili fossili. Un secondo ordine di considerazioni è relativo ai meccanismi di domanda ed offerta di biomassa legnosa che, a detta dei firmatari della lettera, sarebbero responsabili di un aumento delle superfici forestali tagliate, ben diverso dall’uso “a cascata” degli scarti delle lavorazioni che per decenni è stato impiegato dall’industria del legno e della carta. Si ritiene infatti che per soddisfare un incremento del solo 2% nell’uso energetico di legno, sarebbe necessario raddoppiare la raccolta dalle foreste con gravi conseguenze climatiche globali, sulla deforestazione e sul rispetto degli accordi internazionali. I firmatari della lettera infine affermano che l’erogazione di incentivi economici sarebbe responsabile di un effetto distorsivo a favore di aziende che operano nel settore della bioenergia, che andrebbe a discapito delle vere energie rinnovabili come l’energia solare o eolica. 

Per l’importanza dell’argomento e per il clamore mediatico che generalmente segue iniziative del genere, la Lettera dei 500 ha movimentato il dibattito attorno alle biomasse, generando come era prevedibile diverse reazioni. Tra queste non si è fatta attendere la risposta dell’International Energy Agency Bioenergy l’organizzazione creata dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) intervenuta per “disintossicare il dibattito sulla sostenibilità della bioenergia a base di legno” e che attribuisce alle biomasse un ruolo significativo nel supportare la trasformazione del sistema energetico e raggiungere la neutralità carbonica. Nel tentativo di cancellare la visione di “alberi e foreste in fiamme” nella mente delle persone comuni e persino degli scienziati che non hanno familiarità con la selvicoltura, l’IEA tiene il punto su alcune questioni. Il primo fattore chiave e discriminante secondo l’IEA è la sostenibilità dei processi di produzione delle biomasse poiché avvengono all’interno di principi e requisiti chiari (e spesso recepiti in sede legislativa nazionale) per la conservazione delle foreste e della biodiversità riferibili alla gestione forestale sostenibile. In questo senso, l’adozione di schemi di certificazione come FSC o PEFC ridurrebbe al minimo il rischio di utilizzare biomasse forestali che derivano da pratiche non sostenibili. Sulla questione delle emissioni di CO2 associate all’uso energetico delle biomasse, l’IEA afferma che, poiché il carbonio immesso all’atto della combustione era stato precedentemente assorbito dall’atmosfera, ci sarebbe un sostanziale equilibrio all’interno del ciclo naturale del carbonio a breve termine, a condizione che venga conservata la produttività delle foreste e che gli alberi siano in grado di continuare a convertire la COdall’atmosfera. Garantire la produttività delle foreste nel quadro della gestione forestale sostenibile implicherebbe la protezione di aree ad alta biodiversità e ridurrebbe, secondo l’IEA, i rischi associati alla deforestazione e alle perdite di stock di carbonio dovute ad incendi e patologie sempre più diffusi a causa del cambiamento climatico. Su un ultimo punto si concentra la risposta dell’IEA: l’origine del legno usato come combustibile e la determinazione a voler smentire la bufala che intere foreste siano tagliate solo per l’energia, messaggio che verrebbe veicolato, secondo l’Agenzia, da campagne mediatiche e pubblicazioni sui media.  Secondo l’IEA, il legno utilizzato per la bioenergia deriva prevalentemente da diradamenti, legno di bassa qualità o di recupero, residui di taglio e di lavorazione e scarti di legno. E correda le proprie affermazioni con dei numeri che derivano da uno studio del Joint Research Centre della Commissione europea (JRC). I risultati di questo studio hanno evidenziato come nell’UE circa il 50% del legno utilizzato per la bioenergia derivi da prodotti secondari, come sottoprodotti dell’industria forestale e legno recuperato post-consumo, il 17% dalle cime degli alberi, dai rami e altri residui e il 20% principalmente dai cedui, legno da diradamento di piccoli fusti e fusti raccolti di scarsa qualità che non possono essere utilizzati nelle segherie o nella produzione di pasta e carta. In definitiva l’IEA, rovesciando il postulato che accosta l’uso della biomassa per fini energetici a pratiche insostenibili, evidenzia come per soddisfare la crescente domanda di energia, la bioenergia sia disponibile adesso, sia compatibile con le infrastrutture energetiche esistenti e consenta la sostituzione immediata di carbone, gas naturale o combustibili derivati ​​dal petrolio.

Queste posizioni così divergenti sono solo degli esempi a dimostrazione di quanto la sostenibilità della bioenergia sia una questione complessa e “spinosa”, caratterizzata da incertezza, con molteplici settori economici coinvolti e un livello di conoscenza che lontano dall’essere definitivo deve essere considerato ancora aperto al dibattito. Quale è il ruolo degli scienziati all’interno di questo dibattito?

È anche per rispondere a questo interrogativo che la SISEF ha organizzato insieme all’Istituto di BioEconomia del CNR, l’incontro “Biomasse legnose opportunità o problema per la mitigazione della crisi climatica?” condividendo la posizione sulle biomasse di JRC. Come scienziati è nostro dovere raccogliere e sintetizzare le evidenze oggettive, sottolineando i problemi e le soluzioni possibili ma non possiamo indicare quali siano i principi politici da seguire o gli strumenti politici da attuare poiché queste questioni rientrano nell’ambito della sfera più propriamente politica.

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Università degli Studi di Torino, Grugliasco (TO),
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Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia (DISAA)
Università degli Studi di Milano

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