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Incendi estremi: principali cause e nuove strategie di gestione

Il 2020 segna il culmine di un decennio contraddistinto da record di temperatura, ondate di calore ed incendi catastrofici con intensità ed estensioni mai viste prima. La sola Australia in 5 mesi (da ottobre 2019 a febbraio 2020) ha visto in fiamme circa 13 milioni di ettari di territorio pari ad un’area vasta come la Grecia, Sono incendi che superano la capacità di controllo, e sono caratterizzati da parametri di comportamento di intensità sul fronte e di velocità di propagazione elevatissimi, con insorgenza di fuochi secondari ad oltre un km dal fronte di fiamma e con e conseguente rilevante impatto socio economico e ambientale.

Qual’è lo stato di conservazione delle foreste primarie e vetuste in Europa?

La situazione non è omogenea nelle diverse aree geografiche, vaste zone del continente europeo sono quasi completamente prive di queste foreste. Lì dove le foreste primarie e vetuste sono ancora presenti, il livello generale di protezione è buono ma esistono ancora casi in cui non è stato raggiunto un livello di protezione adeguato ad assicurare la conservazione di queste foreste sul medio-lungo periodo ed ancora oggi alcuni lembi di foresta primaria o vetusta non hanno nessun tipo di protezione e continuano ad essere utilizzati (legalmente o illegalmente).

I sistemi agroforestali riducono il rischio di incendi

Un recente studio internazionale ha analizzato il verificarsi degli incendi in funzione di diverse categorie di uso del suolo: pascoli, arbusti, foreste e sistemi agroforestali (consociazione di piante arboree, colture erbacee o pascoli), con l’obiettivo di verificare se le aree gestite con l’agroforestazione fossero più resistenti al fuoco. Gli autori suggeriscono che le pratiche agroforestali, riducono il rischio di incendi interrompendo la continuità della vegetazione arbustiva, regolando la densità e la composizione in specie e riducendo la quantità di combustibile nel sottobosco.

Il faggio e i cambiamenti climatici, tra resilienza e adattamento

Negli ultimi anni, l’aumento delle temperature primaverili ha anticipato l’emissione delle foglie degli alberi non sempreverdi, rendendoli molto più vulnerabili alle gelate primaverili. Allo stesso tempo, l’alterazione della distribuzione annuale delle piogge ed in particolare la maggiore frequenza dei periodi siccitosi hanno messo a dura prova diverse specie forestali. Il faggio, tra gli alberi forestali più diffusi in Italia ed Europa, è fortemente sensibile ai cambiamenti climatici e recentemente, in diverse aree del Mediterraneo, ha dovuto fare in conti con due eventi estremi e ravvicinati: una forte gelata primaverile nel 2016 ed una siccità nell’estate 2017. Come hanno reagito il faggio e le faggete a questi eventi ?

La capacità delle foreste di mitigare i cambiamenti climatici sta diminuendo

Una recente review pubblicata sulla rivista Science evidenzia come siccità, incendi, insetti patogeni e tempeste potranno causare mortalità su vaste aree forestali, e quindi ridurre la quantità di carbonio immagazzinato (stock) nella biomassa forestale. Gli autori rilevano come i modelli su cui si basano le decisioni politiche di molti Paesi non tengano in adeguata considerazione questi disturbi, che sono in aumento a causa dei cambiamenti climatici stessi. Pur con importanti differenze nei diversi biomi, gli incendi, le tempeste e gli insetti patogeni avranno un impatto decisamente maggiore rispetto al passato sulla mortalità delle foreste in molte regioni.

Gli alberi migliorano la qualità dell’aria che respiriamo rimuovendo ozono

Come dimostrato in un recente lavoro scientifico, durante le forti restrizioni al traffico veicolare imposte dall’emergenza COVID-19 le concentrazioni di ozono nelle città sono aumentate. Tuttavia, i primi dati raccolti dal CNR e dal CREA all’interno di siti sperimentali in ambienti forestali periurbani, mostrano una tendenza opposta: qui, anche le concentrazioni di ozono sono calate durante il lockdown. Cos’è successo?

Il legno di cerro trattato termicamente: risorsa naturale di metaboliti secondari

Negli ultimi anni un team di ricerca interdipartimentale dell’Università della Basilicata ha analizzato il tipo e la quantità di estrattivi prodotti a seguito del trattamento termico di diverse specie legnose, tra cui pioppo (Populus nigra), farnetto (Quercus frainetto), paulownia (Paulownia tomentosa) e cerro (Quercus cerris), con risultati particolarmente incoraggianti. Migliorare la resa di estrazione di questi prodotti dal legno è un’eventualità interessante, sia perché permetterebbe la valorizzazione di alcune tipologie di legno di scarso valore (dalle quali è possibile ottenere composti bioattivi di alto valore) e sia perché, in un’ottica di bioeconomia circolare, introdurrebbe una nuova possibilità di utilizzo degli scarti dell’industria del legno, spesso considerati come rifiuto.

I modelli come strumenti di analisi ecologica, non solo di previsione

In ambito forestale ed ecologico uno tra i più controversi e dibattuti argomenti degli ultimi venti anni riguarda la relazione tra la fotosintesi, la biomassa e la respirazione delle piante. Due teorie sono teoricamente utili a quantificare il rilascio ed indirettamente l’assorbimento di CO2 delle foreste, ma risultano in contrasto tra di loro e sono difficilmente replicabili e validabili sperimentalmente nel mondo reale. Uno studio recentemente pubblicato analizza la questione nel dettaglio: la respirazione delle piante è controllata dalla fotosintesi oppure dalla biomassa?

I danni da vento nelle foreste Europee

Negli ultimi decenni i danni da vento a carico delle foreste Europee sono in costante aumento; il vento è il principale fattore di disturbo naturale e agente di danno agli ecosistemi forestali europei e provoca infatti oltre il 50% del totale dei danni. Per l’accresciuta rilevanza dei danni forestali da vento, è apparsa necessaria la realizzazione di una banca dati geografica delle aree forestali percorse da questi eventi. La banca dati FORWIND, riporta i dati di più di 80.000 aree diverse distribuite in 13 paesi europei, corrispondenti complessivamente a poco più di 1 milione di ha di foreste danneggiate.

L’assorbimento di carbonio delle foreste mature in un’atmosfera più ricca di CO2

Tra le principali azioni previste dagli accordi di Parigi del 2015 per la mitigazione del cambiamento climatico c’è quella di aumentare lo stock di carbonio nella biomassa forestale. Le foreste, infatti, contribuiscono globalmente a bilanciare una parte significativa delle emissioni antropiche di anidride carbonica (CO2). Il contributo degli alberi come assorbitori di CO2 potrebbe ulteriormente aumentare in futuro, grazie all’effetto fertilizzante legato all’aumento della concentrazione di questo gas serra in atmosfera. Le emissioni antropiche di anidride carbonica potrebbero quindi essere controbilanciate, almeno parzialmente, da un incremento nella crescita degli alberi.

Il reale effetto dei rimboschimenti sul clima

Secondo la miglior scienza disponibile, l’insieme di tutte le soluzioni basate sulla natura, che comprendono piantare alberi, gestire le foreste esistenti in modo climaticamente intelligente, fermare la deforestazione tropicale, conservare le aree umide e le torbiere e praticare l’agricoltura conservativa, potrebbe aiutarci a conseguire il 30% della mitigazione climatica necessaria per contenere il riscaldamento globale a fine secolo entro 2°C rispetto all’epoca preindustrale. La sola espansione delle foreste in tutte le aree disponibili – escludendo quelle agricole, urbane e ad alto contenuto di biodiversità come le savane – potrebbe garantire, secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), un sequestro addizionale di oltre 10 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, pari a due volte le emissioni prodotte dagli USA nel 2019. Un contributo che non è sufficiente da solo, ma di cui non è possibile fare a meno.

Mitigare la crisi climatica ed ambientale in Europa con l’agroforestazione

Il 94,4% delle terre coltivate in Europa soffre di almeno una problematica ambientale. Utilizzando un approccio multidisciplinare, il gruppo di ricerca del progetto europeo AGFORWARD – in collaborazione con altri enti di ricerca Europei – ha valutato l’effetto dell’agroforestazione rispetto a nove problematiche ambientali che interessano comunemente i terreni agricoli europei e stimato il potenziale di stoccaggio del carbonio di differenti sistemi agroforestali.

Conseguenze a distanza della gestione forestale sul bilancio del carbonio

Ogni attività di gestione del territorio ha delle conseguenze non solo sull’area gestita, ma anche sui territori circostanti vicini e lontani. Gli effetti involontari su aree diverse da quella gestita sono indicati con il termine leakage. In gestione forestale, il vantaggio di un maggior stoccaggio di carbonio da parte di foreste a bassa intensità di prelievo può essere vanificato, parzialmente o completamente, da uno sfruttamento più intenso altrove, necessario al fine di soddisfare la domanda globale di legname. Come si fanno quindi a quantificare i leakage – e la loro controparte, cioè gli effetti involontariamente positivi, chiamati spillover?

Inquinamento dell’aria, così gli alberi fanno da vedette

C’è un grande archivio dell’inquinamento atmosferico che aspetta di essere letto: sono gli alberi che vivono vicino alle industrie e alle nostre città. Un gruppo di ricercatori italiani delle Università di Padova e di Firenze, in un recente articolo pubblicato sulla rivista “Journal of Environmental Management” ne porta un esempio da una delle regioni più inquinate d’Europa. Con lo studio degli anelli legnosi,
accompagnato dall’analisi chimica, è possibile conoscere quali elementi inquinanti i tessuti delle piante arboree hanno accumulato nel corso della loro vita.

Il faggio e il fuoco

È stata recentemente pubblicato “Ecologia del fuoco delle faggete in ambiente montano”, della collana Merkblatt für die Praxis (notizie per la pratica) sul tema dei cambiamenti climatici e dei relativi effetti sugli incendi boschivi nelle foreste dei climi temperati. Il riscaldamento globale sta espandendo l’area forestale interessata frequentemente e ciclicamente dagli incendi in ecosistemi storicamente poco interessati da tali eventi, come le faggete alpine e appenniniche. Quali sono le basi ecologiche per la progettazione degli interventi di ripristino della faggeta?