Cos’è e da cosa dipende l’efficienza della produttività forestale?

Ankasa wet evergreen forest (Western Region – Ghana, Africa) Photo credit: Elisa Grieco

Quali sono i principali fattori che rendono le foreste più o meno efficienti? In che modo i fattori ambientali possono influenzare la capacità dei boschi assorbire CO2 dall’atmosfera e stoccare carbonio? Un clima più caldo potrebbe risultare in una maggiore efficienza di produzione delle foreste?

Per rispondere a queste domande dobbiamo anzitutto fare un salto indietro, o meglio, dentro la pianta.

Nel 1998 Richard Waring, Joe Landsberg e Matt Williams proposero un’ipotesi semplificativa secondo la quale l’efficienza di utilizzo del carbonio dei boschi – ovvero la frazione della CO2 atmosferica assorbita che si trasforma in carbonio organico e, per differenza, quella respirata per il metabolismo – potesse essere costante e indipendente dalla loro età e dal loro ambiente di crescita. Ad anni di distanza, un gruppo di ricercatori si è chiesto se le piante sono davvero passivamente soggette all’ambiente e ai suoi cambiamenti oppure sono “padrone” del loro bilancio del carbonio a tal punto da risultare indipendenti dai fattori ambientali.

In un articolo recentemente pubblicato sulla rivista Nature Communications gli stessi ricercatori hanno quindi analizzato la risposta della sensitività climatica del ciclo del carbonio delle foreste in diversi biomi e gradienti climatici. Si tratta di una singola metrica da loro denominata efficienza della produttività forestale (Forest Production Efficiency, FPE) che comprende due concetti qualitativamente diversi ma quantitativamente vicini: l’efficienza nell’uso del carbonio e l’efficienza di produzione della biomassa.

L’efficienza della produttività forestale (FPE) permette di analizzare quanto carbonio assimilato dalle piante attraverso la fotosintesi venga poi effettivamente utilizzato per la costruzione di tessuti (produzione di biomassa) o – più in generale – per la produzione di sostanza organica (produzione primaria netta). Gran parte del carbonio assimilato viene utilizzato dagli alberi per costruire nuovi tessuti e solo una piccola frazione viene solitamente “persa” ad esempio per la produzione di carbonio non strutturale (zuccheri ed amido) per alimentare funghi simbionti (micorrize) o ancora per la produzione di composti organici volatili. Il carbonio rimanente che può essere destinato alla produzione di nuova biomassa è però regolato dalla respirazione autotrofica: il meccanismo fisiologico che utilizza il carbonio organico necessario per creare nuovi tessuti e per sostenere il metabolismo dei tessuti vivi.

Comprendere se e in che modo le piante utilizzano efficientemente il carbonio assimilato è fondamentale in virtù della crescente pressione esercitata dai cambiamenti climatici sugli ecosistemi forestali. Nello studio citato, i ricercatori hanno dimostrato come l’efficienza della produzione forestale aumenti con le precipitazioni e la latitudine assoluta e diminuisca con l’età dei popolamenti forestali. Ma più inaspettatamente, l’efficienza delle foreste aumenta all’aumentare della temperatura. Tali risultati smentiscono in primis l’ipotesi comune di una produttività forestale costante, e sono in contrasto con l’assunzione comune che all’aumentare della temperatura anche la respirazione debba necessariamente aumentare (portando quindi ad un minore efficienza).

Una simile scoperta dovrebbe spingere gli scienziati a rianalizzare le stime fornite dagli attuali modelli matematici, che sembrerebbero al contrario simulare un andamento opposto e quindi sottostimare l’efficienza nella produzione di biomassa delle foreste nei climi più caldi.  Difatti, le perdite di carbonio fornite da modelli matematici applicati alle foreste che crescono in climi caldi risultano soggette ad una forte sovrastima!

Gina Marano

Info Autori

Gina Marano
ETH Zürich, Department of Environmental Systems Sciences, Chair of Forest Ecology | Altri Posts

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