La diversità dell’abete bianco è il suo grande punto di forza
L’abete bianco, specie che da sempre popola il territorio italiano, è diffuso oggi sull’Appennino in maniera frammentata, ma la sua presenza nasconde una grande potenzialità. Ce la racconta Silvio Oggioni, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università Statale di Milano, in questo nuovo episodio di #PilloleDiScienzeForestali.
L’abete bianco è una specie che ha sempre popolato il territorio italiano, estendendosi sul territorio
montano del paese. Ad oggi però, sui territori dell’appennino, lo troviamo in maniera sporadica, in
popolamenti che resistono ai cambiamenti ambientali e alla competizione con altre specie.
Le cause della sua frammentazione sono principalmente antropiche, ma la sua presenza nasconde
una grande potenzialità. L’abete bianco si distingue infatti per la sua resilienza alla siccità ed ai
cambiamenti climatici, superando altre specie arboree come l’abete rosso e il faggio. La sua
resilienza si basa sulla combinazione di variabilità genetica, capacità di adattamento e una lunga
storia evolutiva.
La variabilità genetica come punto di forza dell’abete bianco
Una ricerca pubblicata sulla rivista Dendrochronologia fa luce su questi aspetti, rivelando come la
variabilità genetica di questa specie, presente nei territori dell’appennino tosco-emiliano, possa
essere un suo alleato nel rispondere ai cambiamenti climatici. Lo studio indica come in questi
territori siano presenti diverse “provenienze forestali” di abete bianco, ovvero alberi la cui origine
geografica e genetica è distinta. Questo è un concetto ricorrente nella gestione forestale e nella
conservazione, poiché le caratteristiche di adattamento e crescita degli alberi possono variare in
base al luogo da cui provengono. Ed è proprio la diversità genetica dell’abete bianco un suo
vantaggio, rendendola una specie chiave nell’Appennino tosco-emiliano per impostare strategie di
gestione forestale che siano sostenibili e resilienti al clima in mutamento.
Dallo studio emerge in particolare la risposta dell’abete bianco alla crescente siccità. Lo studio
rivela come, sull’appennino tosco emiliano, gli abeti bianchi provenienti dall’Italia meridionale e
dall’appennino stesso, ad esempio, mostrano alta capacità di rispondere ad annate di forte siccità,
specialmente se comparati con i corrispettivi abeti provenienti dalle alpi, dimostrato resilienza agli
stress climatici. Questa diversità rappresenta una garanzia per le foreste appenniniche in un contesto
di cambiamento climatico, suggerendo di selezionare attentamente i semi per le foreste del futuro.
Le prospettive future tra “migrazione” e gestione forestale sostenibile
In un mondo che cambia a causa del cambiamento climatico, gli alberi e le specie forestali si
trovano di fronte a varie sfide: Come mi adatto? Dove vado? E ci riuscirò ad arrivare? Anche le
specie forestali si spostano, e lo fanno attraverso i propri semi e le generazioni future, spinte dal
clima. Ma lo fanno lentamente, nel giro di centinaia o migliaia di anni.
Il ritmo con cui avvengono i cambiamenti climatici non permette ad alcune specie di stare al passo, ed una strategia di gestione forestale è quella di accompagnarle nel loro naturale processo di migrazione e
adattamento, piantando i semi nei luoghi più favorevoli per il futuro. Si chiama “migrazione
assistita”, ma va messa in atto con cautela, studiandone prima i rischi e benefici a livello locale.
In conclusione, questa ricerca mostra l’importanza di integrare lo studio della diversità genetica nella
gestione forestale, promuovendo un approccio integrato alla conservazione della biodiversità e
all’adattamento ai cambiamenti climatici.