Gestione o libera evoluzione contro la crisi climatica?

La capacità delle foreste di assorbire anidride carbonica dall’atmosfera e immagazzinarla sotto forma di carbonio organico nei tessuti, dipende da diversi fattori. Tra questi la disponibilità idrica e quindi il clima giocano un ruolo fondamentale, insieme alla quantità di luce, di nutrienti, all’età e struttura delle foreste stesse. Infatti, è proprio la disposizione orizzontale e verticale degli alberi e il loro reciproco rapporto che controllano come acqua, nutrienti e luce siano disponibili.

Quando si decide di gestire una foresta o di lasciarla alla libera evoluzione si interviene, attivamente o in maniera indiretta, proprio sulla struttura e quindi sulla capacità di mitigazione della crisi climatica. Come decidere quindi quale scelta colturale adottare?

Precedenti studi (ad esempio qui e qui )hanno già mostrato in passato come lo scenario di gestione forestale “business as usual”, la gestione quindi tradizionalmente attuata e più comunemente utilizzata in Europa con intensità di taglio e turni definiti (vedi Reyer et al., 2020), confrontata con scenari di libera evoluzione ed invecchiamento, sia in grado di garantire una maggiore efficienza di stoccaggio e di sequestro. Ma, a parte questi, sono poche le ricerche che indagano se una gestione diversa da quella tradizionale, possa portare ad un aumento sia del sequestro che dello stoccaggio di anidride carbonica. Considerando che le foreste europee sono 160 milioni di ettari di cui la gran parte sono gestite, la domanda è quanto mai attuale e tempestiva. 

Bosco misto con abete rosso, bianco e faggio nella riserva integrale di Perucica( Bosnia) Foto E. Vangi

Due recenti studi hanno analizzato le capacità di sequestro (cioè la produttività primaria netta) e stoccaggio (che deriva dai prodotti legnosi ricavati dal taglio e la biomassa restante sul soprassuolo) delle foreste europee e l’effetto di diverse gestioni forestali sotto diversi scenari di cambiamento climatico, dal presente fino alla fine del secolo, mediante l’utilizzo di un modello “di processo” (ovvero un modello che simula in maniera esplicita i principali processi eco-fisiologici all’interno degli alberi). Il primo studio ha analizzato sette diversi scenari di gestione, compresa la non-gestione (la foreste viene lasciata al suo naturale sviluppo), sul sito sperimentale del Bacino del Bonis (Calabria). Lo studio ha mostrato come cicli di intervento che privilegiano il trattamento a tagli successivi rappresentano un buon compromesso che permette di minimizzare eventuali riduzioni di capacità di sequestro del carbonio sul lungo periodo causate dall’impatto del cambiamento climatico, sostenendo ed aumentando allo stesso tempo la produzione legnosa (ben oltre il 40%), mentre la non gestione risulta essere la peggiore opzione sia in termini di capacità di sequestro che di accumulo di biomassa. Il secondo lavoro analizza invece dal punto di vista quantitativo come una riduzione o una aumento di intensità e frequenza nei tagli rispetto alla gestione attuale “business as usual” possa in futuro aumentare o meno la capacità di sequestro e stoccaggio delle foreste centro-nord europee. I risultati prodotti dal modello mostrano come una corretta gestione forestale rispetto alla non-gestione porti a un miglioramento, sia in termini di sequestro che di stoccaggio del carbonio, anche per il futuro, indipendentemente dallo scenario di clima considerato. Ma, sorprendentemente, gestire più intensamente le foreste di quanto si faccia ora non corrisponde automaticamente però ad un aumento delle loro capacità di sequestro e stoccaggio, mentre sembra vero l’esatto contrario. Risulta infatti che scenari a più alta intensità di gestione, ovvero maggiore frequenza ed intensità di taglio, mostrano mediamente una diminuzione di circa il 30% in termini di sequestro di carbonio e di circa il 5% in termini di accumulo di biomassa e prodotti legnosi, mentre scenari a più bassa intensità di gestione mostrano rispettivamente una diminuzione di circa il 2% e il 7%. La non gestione rappresenta – invece – una riduzione, in termini di sequestro e biomassa stoccata, di circa il 16% e il 30% rispetto alla gestione più comunemente praticata. I risultati mostrano anche come la gestione forestale, e il tipo di gestione che si decide di applicare nel medio e lungo termine, ha di gran lunga un impatto maggiore di quanto non lo abbia il cambiamento climatico stesso. È importante quindi analizzare con cura ogni singolo caso, perché quello che è valido per un sito potrebbe non esserlo per altri.

 La non gestione rimane certamente una opzione ma le foreste gestite possono aiutarci a ridurre maggiormente la CO2atmosferica e quindi gli effetti del cambiamento climatico in corso. Gestire le foreste quindi può essere considerato un valido strumento per mitigare gli impatti del cambiamento climatico e la decarbonizzazione, ammesso che si faccia correttamente.

Foto di copertina: faggeta sul Monte Terminillo (Rieti) di Elisa Cioccolo

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Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFOM)
Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)

Alessio Collalti

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