I modelli come strumenti di analisi ecologica, non solo di previsione

In ambito forestale ed ecologico uno tra i più controversi e dibattuti argomenti degli ultimi venti anni riguarda la relazione tra la fotosintesi, la biomassa e la respirazione delle piante. La fotosintesi è il maggior flusso biogenico di CO2 dall’atmosfera alla biosfera terrestre e corrisponde a circa 120 Petagrammi di carbonio l’anno (1 Pg = 1015 g, in totale l’atmosfera contiene circa 750 PgC). La respirazione delle piante, ovvero il processo metabolico di creazione di nuove cellule cosi come il mantenimento di quelle già esistenti, al contrario, emette CO2 in atmosfera nella misura di circa 60 PgC l’anno. Il netto tra fotosintesi e respirazione rappresenta il carbonio organico che, sotto diverse forme, rimane nell’ecosistema e che quindi è sottratto all’atmosfera con ovvi benefici per la mitigazione del cambiamento climatico.

Più di vent’anni fa Richard Waring e i suoi colleghi hanno analizzato i dati di dodici foreste boreali e temperate, notando che il bilancio tra la quantità di carbonio emesso in un anno attraverso la respirazione annuale degli alberi era pari a circa la metà di quello assorbito attraverso la fotosintesi durante lo stesso anno. Riuscire a stimare la sola fotosintesi permetteva, in teoria, di ottenere facilmente anche la stima della respirazione delle piante e quindi – per differenza – anche della loro produttività annuale.

Un’ipotesi alternativa, nota come teoria metabolica scalare che fonda le proprie basi nella matematica dei frattali, non considera la fotosintesi ma piuttosto la biomassa totale degli alberi e postula che la respirazione delle piante possa crescere linearmente (o quasi) con la biomassa stessa. La sola conoscenza della biomassa permetterebbe quindi di ottenere facilmente sia la stima della respirazione delle piante sia quella della loro produttività.

Entrambe le teorie sono teoricamente utili a quantificare il rilascio ed indirettamente l’assorbimento di CO2 delle foreste, ma risultano in contrasto tra di loro e sono difficilmente replicabili e validabili sperimentalmente nel mondo reale.

Uno studio recentemente pubblicato analizza la questione nel dettaglio: la respirazione delle piante è controllata dalla fotosintesi oppure dalla biomassa?

Lo studio utilizza un modello che simula 150 anni di sviluppo naturale di una foresta, mostrando che la respirazione non può essere controllata né unicamente dalla fotosintesi né unicamente dalla biomassa.

Nel primo caso, se la respirazione fosse totalmente dipendente dalla fotosintesi – durante il riposo vegetativo in cui la fotosintesi è interrotta (o fortemente limitata) – risulterebbe interrotta anche la respirazione, il che sarebbe incompatibile con la sopravvivenza delle cellule durante l’inverno. Nel secondo caso, una dipendenza lineare della respirazione dalla biomassa totale, implicherebbe che tutte (o quasi) le cellule che costituiscono la biomassa di un albero siano vive e metabolicamente attive, il che risulterebbe fisiologicamente troppo dispendioso, e quindi improbabile, soprattutto per le piante mature.

Entrambe le teorie sono scorrette e non conciliabili tra di loro e grazie ad un modello si è riusciti a scoprirlo. Come diceva ironicamente il padre della modellistica George Box:

Tutti i modelli sono sbagliati, ma qualcuno è utile

Alessio Collalti

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Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFOM)
Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)

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