Diradare senza danneggiare, certo che si può!

I diradamenti rappresentano per i boschi monoplani il principale strumento colturale per valorizzare principalmente le funzioni produttiva e protettiva. In un contesto sociale in cui il bosco ha assunto via via sempre più rilevanza sociale e culturale, la gestione forestale si trova a dover bilanciare gli interventi selvicolturali anche sulla base di altri servizi che il bosco può offrire: i cosiddetti servizi ecosistemici. Può la selvicoltura adattarsi a questo nuovo contesto e promuovere la conservazione della biodiversità come una strategia chiave anche nei popolamenti artificiali? I risultati di un recente articolo pubblicato su Forest Ecology and Management indicano come la risposta possa essere positiva. Lo studio dimostra come la selvicoltura in popolamenti puri artificiali di Pinus nigra (il Pino nero, una specie molto diffusa e discussa in Italia e sulla cui gestione si sono aperti spesso ampi dibattiti nella comunità scientifica) sia possibile, sostenibile e realizzabile senza impatto sulle comunità biotiche. I ricercatori hanno studiato gli effetti a breve termine di tre trattamenti selvicolturali su diversi gruppi tassonomici (batteri, nematodi, microartropodi, funghi e piante vascolari). Il disegno di campionamento utilizzato è il BACI (Before/After-Control/Impact) tramite il quale è possibile stabilire la sorgente dei cambiamenti rilevati a carico delle comunità animali e vegetali, evidenziando l’effetto dei tagli rispetto a quelli di altre fonti di variabilità (clima o altri impatti):

  1. nessun diradamento, equivalente alla non-gestione;
  2. diradamento dal basso (selezione negativa) ovvero il classico diradamento per il quale, ai sensi delle varie Leggi regionali, è consentito asportare al massimo una percentuale di alberi (variabile da Regione a Regione e compresa tra il 30% e il 40% degli alberi vivi) ma di norma appartenenti a classi sociali dominate o sottoposte;
  3. diradamento selettivo (selezione positiva) ovvero un diradamento in cui si selezionano le piante migliori (crop trees, circa 100 per ettaro ad esempio per il pino nero in boschi puri) e vengono eliminati i competitori a prescindere dalla loro classe sociale.

I risultati hanno mostrato che nessuno dei trattamenti ha influenzato significativamente le diverse comunità nel breve termine, né per quanto riguarda la ricchezza né la composizione delle comunità biologiche. I diversi gruppi tassonomici hanno mostrato una sensibilità simile, bassa o nulla, alla gestione forestale, e quindi un’elevata congruenza nelle loro risposte.  Di conseguenza lo studio dimostra come sia possibile gestire positivamente il bosco, produrre ricchezza e servizi senza produrre effetti negativi sulla biodiversità. Fare selvicoltura significa incidere responsabilmente su tutti i servizi ecosistemici correlati al bosco. Effettuare diradamenti in popolamenti artificiali e monospecifici rappresenta il cardine del trattamento per le finalità di produzione e protezione. diradamenti correttamente eseguiti producono benefici per i servizi ecosistemici “classici” (produzione legnosa, stabilità meccanica dei popolamenti, mantenimento della copertura del suolo, ecc.) e non determinano effetti negativi sulla biodiversità del suolo.

Info Autori

Simona Maccherini
Università di Siena - Dipartimento Scienze della Vita | Altri Posts
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Istituto di Bioscienze e Biorisorse (IBBR)
Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)

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Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria

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