Il reale effetto dei rimboschimenti sul clima

Il servizio di TG1 ambiente del 26 maggio 2020, Alberi per purificare l’aria, di Marilù Lucrezio, ha raccontato agli ascoltatori che piantare alberi potrebbe non contribuire, anzi in alcune circostanze danneggiare la lotta alla crisi climatica.

La fonte del servizio è con tutta probabilità l’articolo di Michael Marshall dal titolo Planting trees doesn’t always help with climate change, pubblicato su BBC Future lo stesso 26 maggio. Tuttavia, la versione andata in onda in Italia ne ha banalizzato alcuni punti, arrivando al punto di comunicare che in Europa e in Nord America piantare alberi sarebbe climaticamente inutile.

Ma come stanno realmente le cose?

Secondo la miglior scienza disponibile, l’insieme di tutte le soluzioni basate sulla natura, che comprendono piantare alberi, gestire le foreste esistenti in modo climaticamente intelligente, fermare la deforestazione tropicale, conservare le aree umide e le torbiere e praticare l’agricoltura conservativa, potrebbe aiutarci a conseguire il 30% della mitigazione climatica necessaria per contenere il riscaldamento globale a fine secolo entro 2°C rispetto all’epoca preindustrale.

La sola espansione delle foreste in tutte le aree disponibili – escludendo quelle agricole, urbane e ad alto contenuto di biodiversità come le savane – potrebbe garantire, secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), un sequestro addizionale di oltre 10 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, pari a due volte le emissioni prodotte dagli USA nel 2019. Un contributo che non è sufficiente da solo, ma di cui non è possibile fare a meno.

Un contributo che non è scontato.

Occorre piantare gli alberi giusti al posto giusto e assicurare alle nuove foreste cura e protezione dalla siccità e degli incendi, soprattutto nei primi anni. Dal punto di vista scientifico oggi è molto chiaro quali sono le tecniche migliori per realizzare foreste resistenti, resilienti e funzionali, e che siano in grado di auto-sostenersi ecologicamente una volta arrivate a maturità.

Come suggerisce il servizio del TG1 Ambiente, ci sono situazioni in cui piantare alberi potrebbe innescare conseguenze opposte a quelli desiderati. Sono i cosiddetti effetti biofisici. Oltre alla fotosintesi con cui fissano la CO2, gli alberi e le foreste influenzano il clima locale in altri modi:

  • Cambiando il colore della superficie terrestre, ad esempio dal bianco della neve al verde della vegetazione. Causando, se si ha il passaggio da una superficie più chiara ad una più scura, il riscaldamento della superficie stessa.
  • Immettendo vapore in atmosfera attraverso la traspirazione, favorendo la formazione di nubi (effetto raffreddante) ma anche aumentando l’effetto serra (riscaldante).
  • Rendendo disomogenea la superficie terrestre e favorendo così turbolenze dell’aria in grado di disperdere il calore.
  • Producendo lettiera che se decomposta dai batteri in zone caldo-umide o paludose (condizioni anaerobiche) porta alla produzione di metano, un gas serra (effetto riscaldante)
  • Emettendo composti organici volatili che possono favorire la formazione delle nuvole (effetto raffreddante)

Gli effetti biofisici influenzano il clima locale in maniera contrastante

Per ottenere una stima precisa, gli scienziati utilizzano modelli biofisici del clima terrestre, con i quali cercano di simulare gli effetti di un aumento o una diminuzione delle foreste e le relative conseguenze sul clima. Tuttavia, le poche ricerche condotte finora hanno fornito risultati contrastanti sul loro effetto complessivo – un dibattito ancora aperto, ma non raccontato dal servizio del TG1 (come invece fatto della BBC). Questa incertezza è determinante, secondo l’IPCC c’è una alta probabilità che su scala locale gli effetti biofisici siano climaticamente più determinanti della fotosintesi.

In realtà, il bilancio netto sul clima dipende dall’area geografica dove si piantano le nuove foreste, dalla specie utilizzata, e dall’umidità del suolo. Secondo i modelli considerati dall’IPCC, un aumento di foreste ai tropici causerebbe un rinfrescamento sia globale che locale (2.5 gradi in meno nel Sahel, 1.2 in meno in Cina, e fino a 8 gradi in meno nel Sahara occidentale).

Contrariamente a quanto riportato da TG1 ambiente – il cui claim è basato su una ricerca vecchia ormai di 13 anni e superata da numerosi nuovi studi – secondo il rapporto speciale dell’IPCC anche in Europa e Nord America l’espansione delle foreste avrebbe un effetto complessivo rinfrescante. L’unica eccezione riguarderebbe le zone più aride, dove la scarsità di acqua limiterebbe la traspirazione, rendendo prevalente l’effetto di inscurimento della superficie.

Secondo alcuni ricercatori, le ondate di calore del 2003 e del 2010 in Europa sarebbero state molto più deboli in caso di afforestazione su larga scala. Solo nell’area boreale-artica, a causa dell’inscurimento della superficie, non si avrebbe un effetto rinfrescante prevalente. In queste aree, la messa a dimora di nuove foreste avrebbe un effetto climatico tre volte meno efficace rispetto alle zone tropicali.

Secondo gli studi più recenti, considerando sia gli effetti biofisici che la fotosintesi, l’afforestazione di 800 milioni di ettari, pari a poco più della superficie dell’Australia, risulterebbe in una diminuzione della temperatura di 1 grado nelle regioni temperate e 2.5 in quelle boreali.

Dove andrebbero collocate quindi queste foreste?

Nelle aree tropicali deforestate o a parziale uso pastorale e agricolo, sfruttando le potenzialità della silvopastorizia e dell’agroselvicoltura. Per quanto riguarda la fascia temperata, nei terreni marginali, nelle ex aree industriali, nei corridoi ripariariali. E soprattuto intorno e dentro le città.

Bisogna considerare un altro aspetto fondamentale: la nostra capacità di adattamento ai cambiamenti climatici

Le città del mondo stanno subendo le più dure conseguenze dei cambiamenti climatici: ondate di calore estivo, precipitazioni intense e improvvise, ma anche il netto peggioramento della qualità dell’aria, che rende più vulnerabili alle ondate di calore. Nei confronti di tutte queste minacce, gli alberi hanno poteri eccezionali che non riguardano tanto il contrasto dei cambiamenti climatici, ma piuttosto la capacità dei cittadini di adattarsi ad essi. Gli alberi rinfrescano l’aria durante le ondate di calore, assorbono parte degli inquinanti e delle polveri sottili, riducono il deflusso delle acque superficiali e stabilizzano il suolo riducendo il rischio di frane ed alluvioni. Migliorando in sintesi, la salute e il benessere dei cittadini, in modo altamente probabile – come conclude anche il rapporto IPCC su Climate Change e Land.

Giorgio Vacchiano

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Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia (DISAA)
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