REDD+, crediti di carbonio e qualità: Rete Clima

Pubblichiamo l’intervista a Paolo Viganò e Salvatore Coco di Rete Clima.

Nel novembre 2023 SISEF ha pubblicato un articolo molto critico sui crediti di carbonio forestali,
riprendendo l’inchiesta di Die Zeit e The Guardian: il pezzo è disponibile qui.

Rete Clima ha replicato con una propria riflessione a freddo, consultabile a questo link.

L’inchiesta aveva sollevato forti dubbi sulla credibilità dei progetti REDD+ certificati da Verra, arrivando a
conclusioni drastiche sul loro valore climatico. Rete Clima, attiva in Italia da oltre dieci anni sul fronte della decarbonizzazione aziendale e della responsabilità sociale legata alla forestazione, ha chiesto un confronto pubblico per chiarire le proprie posizioni. Pubblichiamo quindi questa intervista, frutto di uno scambio email e di una successiva conversazione video con Paolo Viganò e Salvatore Coco, per offrire ai lettori un quadro articolato e basato sull’esperienza diretta di chi opera quotidianamente in questo settore.

1) Chi è Rete Clima, come lavora in Italia e perché sostiene progetti nei Paesi in via di sviluppo?

Rete Clima nasce nel 2011 come ente tecnico-scientifico con l’obiettivo di accompagnare le imprese italiane nella transizione climatica. Una delle prime precisazioni fatte da Viganò riguarda il fatto che in Italia non vengono generati crediti di carbonio certificati da standard internazionali: le attività di Rete Clima sul territorio nazionale si configurano come progetti di responsabilità sociale d’impresa (CSR). Foresta Italia, la Campagna avviata nel 2022 per formalizzare e mettere a sistema la pregressa decennale esperienza di realizzazione di attività forestali in Italia, comprende interventi di: forestazione urbana ed extraurbana, ripristino post-evento in aree colpite da calamità come la tempesta Vaia, tutela e manutenzione delle foreste esistenti, promozione della certificazione PEFC e iniziative per la biodiversità. Queste attività non sono pensate per produrre crediti di carbonio commerciabili, ma restituiscono benefici diretti a cittadini e comunità, contribuendo al capitale naturale italiano.

Sul fronte internazionale, invece, Rete Clima svolge un ruolo di filtro per le aziende che scelgono di compensare parte delle proprie emissioni residue. La scelta ricade sui progetti REDD+ nei Paesi in via di sviluppo per tre ragioni principali: maggiore efficacia climatica (il costo per tonnellata evitata è inferiore),
giustizia climatica (le risorse dei Paesi industrializzati vengono reinvestite in contesti più vulnerabili), e co-benefici sociali ed ecologici (reddito e diritti per le comunità locali, tutela di ecosistemi di pregio). Come sottolineano Viganò e Coco, i due ambiti – nazionale e internazionale – non sono in competizione, ma complementari: l’uno rafforza la resilienza italiana, l’altro sostiene la conservazione globale.

2) Qual è la posizione su Verra e sullo scandalo 2023? Perché dite che si è fatto di tutta l’erba un fascio?

La posizione di Rete Clima è di completa imparzialità: Verra è di fatto il principale standard mondiale per i crediti forestali, ma la Rete lavora anche con Gold Standard e segue l’evoluzione di nuovi sistemi. L’inchiesta di The Guardian e Die Zeit ha avuto il merito di aver messo in luce progetti problematici, ma secondo Viganò ha avuto il demerito di estendere quei limiti a tutto il comparto REDD+. Le affermazioni sul ‘90% di offset inconsistenti’ si basano su studi che utilizzano metodologie di controllo sintetico, che hanno però limiti dichiarati dagli stessi autori: controlli non perfettamente comparabili, finestre temporali ridotte, mancanza di alcuni determinanti strutturali della deforestazione. Dall’altro lato, Verra aveva già avviato processi di revisione ben prima del 2023, culminati con la metodologia VM0048 che riduce la discrezionalità sulle baseline, introduce dati giurisdizionali, verifiche più frequenti e indipendenti e misure più rigorose su permanenza e salvaguardie. Per Rete Clima questo conferma che i modelli controfattuali non sono perfetti, ma sono migliorabili attraverso un lavoro tecnico condiviso. Contestare a priori il più grande sistema di conservazione forestale equivarrebbe a privarsi di uno strumento oggi indispensabile per ridurre la deforestazione e il degrado. Il messaggio, quindi, non è che Verra abbia ragione e i critici torto: entrambe le parti hanno sollevato elementi validi, e la vera sfida è il perfezionamento continuo dei metodi e delle regole.

3) Come selezionate i progetti e come affrontate le critiche su monitorabilità, baseline e impatti sociali?

Rete Clima non sviluppa direttamente progetti REDD+, ma seleziona per le aziende partner solo quelli più solidi tra i progetti già certificati. La selezione avviene attraverso una due diligence indipendente basata su sistemi di rating esterni, sviluppati con partner internazionali. Questi rating analizzano ogni progetto secondo criteri multipli: qualità della baseline e delle ipotesi controfattuali, reale addizionalità, permanenza dei benefici, robustezza dei sistemi MRV (monitoring, reporting, verification), governance, trasparenza, e rispetto delle salvaguardie sociali e ambientali. Il risultato è una valutazione sintetica (AAA-D) che permette di distinguere progetti forti da progetti rischiosi, anche quando entrambi hanno una certificazione formale. Nel caso emergano criticità, i progetti vengono esclusi dal portafoglio e le aziende informate, per evitare rischi reputazionali e garantire integrità ambientale. Quanto alle critiche sul carattere controfattuale dei REDD+, Viganò riconosce che ogni modello ha limiti, ma ricorda che VM0048 rappresenta un passo avanti perché riduce la libertà dei proponenti di definire scenari troppo ottimistici. Sul piano sociale, gli standard prevedono salvaguardie e sospensioni in caso di violazioni, ma è necessario vigilare costantemente. In questo senso, il ricorso a rating esterni offre un ‘doppio controllo’ rispetto alla certificazione, utile per selezionare i progetti più robusti e rafforzare la fiducia delle imprese e dell’opinione pubblica.

4) Qual è la vostra posizione sulla gerarchia di mitigazione e come evitate che gli offset sostituiscano le riduzioni reali?

Uno dei nodi cruciali riguarda il rapporto tra riduzioni effettive e compensazioni. Rete Clima sostiene con forza la gerarchia di mitigazione: prima si misura la carbon footprint, poi si avviano azioni di riduzione lungo l’intera catena del valore, e solo in ultima istanza si ricorre a crediti per le emissioni residue non eliminabili nel breve termine. La priorità rimane la riduzione reale, attraverso efficienza energetica, rinnovabili, cambiamenti nella supply chain e nei modelli produttivi. Gli offset sono uno strumento complementare, utile solo se inserito in piani coerenti e trasparenti. Non tutte le aziende scelgono SBTi come riferimento formale, ma molte definiscono target in linea con i suoi criteri; altre adottano lo standard ISO 14068-1 che consente l’uso residuale di crediti forestali. Alcune, infine, decidono di separare gli acquisti di crediti dalla logica della compensazione, trasformandoli in un contributo libero a beneficio ambientale comune, in linea con il modello BVCM promosso da SBTi. Secondo Coco, questo approccio aiuta a chiarire che i crediti non sono un lasciapassare per continuare a inquinare, ma uno strumento temporaneo e mirato. Il rischio di greenwashing è concreto, perciò la trasparenza e l’educazione dei clienti sono centrali. Per questo Rete Clima accompagna le imprese con percorsi di formazione e verifica, affinché la compensazione non diventi una scusa, ma resti subordinata a una riduzione strutturale delle emissioni.

5) Come sta cambiando il mercato dopo il 2023?

Dopo lo scandalo Verra, il mercato ha vissuto una trasformazione significativa. Se prima la competizione era basata soprattutto sul prezzo, oggi la parola chiave è qualità. Le aziende non cercano più i crediti più economici, ma quelli più affidabili, con benefici verificabili e coerenza con i propri obiettivi climatici. Questo ha portato a una maggiore selettività: i progetti più deboli faticano a trovare acquirenti, mentre quelli solidi, con rating elevati e salvaguardie concrete, sono sempre più richiesti. Sul piano regolatorio, Rete Clima osserva con attenzione i processi europei e nazionali. Un registro unico e regole più chiare potrebbero aumentare la trasparenza, ma esiste la preoccupazione che norme troppo permissive aprano spazi a progetti di bassa qualità. In Italia, il dibattito è ancora in corso e l’auspicio è che il legislatore sappia bilanciare rigore tecnico e praticabilità operativa. Secondo Viganò e Coco, questa fase di crisi ha avuto almeno un effetto positivo: spingere le imprese, i media e l’opinione pubblica a distinguere tra progetti solidi e progetti discutibili. In conclusione, l’intero settore dei crediti di carbonio sta vivendo una selezione naturale: sopravvivranno solo i progetti più seri, con metodi robusti, trasparenza e benefici dimostrabili. Ed è esattamente in questa direzione che Rete Clima intende continuare a lavorare, convinta che un sistema di offsetting di qualità possa restare uno strumento utile – pur limitato – della transizione climatica.

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