EDITORIALE: Territorio, bioeconomia e gestione degli incendi: una sfida da raccogliere al più presto

di Marco Marchetti e Davide Ascoli
(pubblicato su: Forest@ – Rivista di Selvicoltura ed Ecologia Forestale – doi: 10.3832/efor0072-015)


Quello degli incendi è l’unico tema forestale ricorrente che, con l’estate, diventa di attualità e balza agli onori della cronaca. È un problema che tocca sempre più da vicino anche chi vive in aree urbane e di interfaccia e che non si risolve d’estate. La percezione dei cambiamenti climatici e dell’uso del territorio si comprende infatti all’improvviso dopo un tragico incendio, un po’ come una grave malattia che ad un certo momento risulta quasi impossibile da fermare. Si deve invece riflettere sulla politica forestale da cui primariamente dipende lo “stato di salute” del patrimonio boschivo del nostro Paese (e non solo), verificato ormai da tempo che un’economia rurale sviluppata è negativamente correlata agli incendi (ovvero previene gli incendi).

Gli incendi boschivi sono dunque un grave problema globale che genera ogni anno enormi costi economici, sociali, ambientali, con perdita crescente di vite umane. Sempre più parti del continente europeo (fin oltre il circolo polare artico anche quest’anno) e di USA e Russia sperimentano temperature e siccità record che portano con sé ondate di calore e di fuochi, fino talvolta a creare ed autoalimentare uno specifico sistema meteorologico a livello di mesoscala, come in California (cosiddetti “megafires and fire storms”).

Nell’Unione Europea (UE) ogni anno in media vengono bruciati circa 500.000 ettari (il 95% dei focolai è dovuto ad attività dell’uomo), ancora prevalentemente nell’Europa meridionale ed in particolare quella Mediterranea che sta assistendo ad una transizione forestale senza precedenti nella storia recente, dove il 2017 è stato il peggiore anno registrato finora dalle statistiche, con più di 1 milione di ettari bruciati. In Italia, le superfici del 2017 si avvicinano a quelle dell’annus horribilis 2007, con più di 160 mila ettari percorsi dal fuoco. Nonostante il problema sia fonte di preoccupazione per i responsabili delle politiche e i gestori delle foreste, e sia stato al centro di molte ricerche scientifiche (l’UE ha investito 103 milioni di euro solo per progetti di ricerca sugli incendi boschivi), dopo la stagione incendi del 2017, la percezione è che non si siano raggiunti i risultati attesi nel governare tale fenomeno, e che non si stiano affrontando le cause profonde che sono soprattutto territoriali e sociali. Tecnologie innovative possono essere di grande aiuto, anche nell’estinzione, ma mai saranno risolutive, visto che perfino la grande efficienza raggiunta nella soppressione precoce del fuoco può risultare negativa per gli incendi del futuro che si affacciano con comportamenti nuovi e imprevedibili. Serve più conoscenza sui nuovi comportamenti degli incendi nel nuovo contesto territoriale globale del neo-urbanesimo come evento di massa e culturale.
Fino a pochi decenni fa, il paesaggio era diverso e le comunità rurali, peraltro demograficamente più giovani e dinamiche, sapevano dove andare e cosa fare in caso di pericolo, e conoscevano l’uso di tecniche anche difficili come il controfuoco. Oggi abbiamo bisogno di più Europa e più cooperazione regionale per tutte le sfide globali e questa lo è, dalla prevenzione alla lotta. Dobbiamo aggredire le cause profonde di questi nuovi scenari che si presentano, senza aspettare ancora che si presentino tragicamente, incluse le scelte istituzionali di trasferire competenze che si sono rivelate veri errori in Grecia (1998) e Portogallo (2008), e che anche da noi possono evidenziare criticità. Non si può accettare la definitiva separazione del soccorso emergenziale dalla gestione dei boschi, né il perdurare dell’assenza di pianificazione territoriale integrata e su basi ecologiche soprattutto nei paesi sviluppati. Le situazioni di interfaccia urbano-rurale e spesso urbano-foresta si moltiplicano e, come dimostrano anche i recentissimi tragici episodi, non raramente si configurano come potenziali trappole a causa della non gestione del combustibile, del disordine urbanistico e dell’assenza di pianificazione e gestione territoriale.
I tristi eventi che si sono verificati in Grecia con cui è iniziata la stagione incendi del 2018, i drammatici focolai lusitani del 2017 e i grandi incendi della penisola scandinava, confermano la necessità di adottare nuove strategie di mitigazione del rischio incendi, soprattutto nelle estese aree urbane a contatto con foreste non gestite altamente infiammabili. Proviamo a riflettere sulle principali lezioni apprese e su quale quadro politico e di quali misure abbiamo bisogno per affrontare tale sfida, come discusso in due panel europei, a Lisbona in gennaio e a Madrid in maggio 2018, con esperti e responsabili politici e amministrativi della CE e di Francia, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, e i migliori gruppi di scienziati di gestione forestale e di pianificazione antincendio dell’Europa meridionale.
È ampiamente riconosciuto che anni con incendi estremi come il 2003, 2005, 2007, 2012, 2017 e ormai purtroppo anche il 2018, non possono essere più considerati episodi isolati, ma piuttosto il segnale di una ampia tendenza influenzata dai cambiamenti in atto, dell’uso del suolo e climatici. L’aumento delle temperature (soprattutto in estate) e la riduzione delle precipitazioni medie annue, assieme ad una maggiore frequenza degli eventi meteorologici estremi (ondate di calore, siccità e piogge eccezionalmente intense), interagiscono con l’abbandono dello spazio rurale, creando condizioni predisponenti la generazione di grandi incendi (Bovio et al. 2017). Un nuovo effetto, sintomo di questa tendenza, è presentato dal fenomeno delle “tempeste di fuoco” (come nel tragico evento di Pedrogão Grande nell’estate del 2017 in Portogallo), incendi catastrofici dal comportamento non prevedibile dai modelli di propagazione disponibili e di intensità e velocità tali da non poter predisporre alcuna forma di lotta attiva nelle condizioni attuali di uso del suolo: l’aumento di biomassa e necromassa portano di fatto la foresta ad accumulare e sprigionare un’enorme quantità di energia (con ordini di grandezza che dai massimi di 10.000 arrivano anche a 60.000 kw m, che rendono inerme ogni attore possibile); la congiuntura con estremi meteorologici di umidità, vento e temperature possono causare colonne convettive multiple a rapido collasso (fisicamente simili ai cumulonembi) con spinta di masse d’aria a velocità elevatissime ed improvvise che possono causare percorrenze anche di 100.000 ettari al giorno (Castellnou 2018). Questi incendi si sviluppano in contesti in cui il mosaico paesistico rurale è sempre più caratterizzato da tessere di copertura del suolo in transizione e in territori senza presidio o zone di pericolosa e delicata interfaccia urbano-foresta (EFI-SURE 2018). Altre regioni del mondo a clima mediterraneo, come il Cile e la California, stanno affrontando le stesse problematiche, suggerendo una tendenza globale.

Il regime pirologico dell’area mediterranea è dunque cambiato con effetti immediati sul rischio incendi soprattutto in queste zone di interfaccia (WUI – wildland urban interface) e con danni economici (la CE stima in media almeno 3.000 milioni di Euro all’anno – dati EFFIS, European Forest Fire Information System) e ambientali crescenti, a cominciare dalla produzione di grandi quantità di emissioni. Le foreste dell’UE catturano la CO2 dall’atmosfera assorbendo l’equivalente di quasi il 10% delle emissioni totali di gas serra prodotte dall’UE ogni anno. Tuttavia, gli incendi sono grandi apportatori di emissioni, spesso capaci di vanificare in poco tempo ogni impegno profuso o assecondato nel sequestro del carbonio. In Italia centro-meridionale, il CMCC (Centro euromediterraneo di studi sui cambiamenti climatici) ha mostrato che a seconda del metodo di stima le emissioni di CO2 dovute agli incendi variano da 2 a 5 Tg anno-1 (periodo di analisi 1997-2005 – Bacciu et al. 2013). In particolare i grandi incendi emettono elevate quantità di emissioni, non solo per l’estensione delle superfici interessate, ma anche a causa della loro elevata severità. Ad esempio, nel grande incendio del Vesuvio del 2017, più di 300 ettari di pinete presentavano una severità del fuoco estrema con consumo totale delle chiome degli alberi e degli orizzonti organici del suolo dove viene immagazzinata la maggior parte del carbonio sequestrato.
Il costo del controllo e della mitigazione degli impatti degli incendi in Europa ammonta dunque a diversi miliardi di euro ogni anno (Pettenella & Corradini 2018). Oltre a compromettere l’attuazione delle politiche forestali nell’Europa meridionale, ne utilizza pressoché l’intero budget disponibile, impedendo di fatto ogni programmazione per l’attivazione di filiere virtuose di bioeconomia. Attualmente, la maggior parte degli stessi finanziamenti della politica forestale, ad esempio nei bilanci nazionali e nella PAC dell’UE, è destinato all’estinzione, al ripristino o alla ricostituzione, anche con rimboschimento (!) delle foreste percorse dagli incendi. Affrontare le cause profonde degli incendi boschivi richiede invece di spostare l’attenzione soprattutto verso l’elevata infiammabilità dei paesaggi agro-silvo-pastorali del sud Europa e sull’ottimizzazione della gestione delle risorse per ridurre la combustibilità crescente. Un cambiamento di governo del fenomeno che mira a prevenire gli incendi attraverso la gestione del territorio può essere sostenuto creando e migliorando i redditi e l’occupazione che le risorse agro-silvo-pastorali possono generare, mantenendo così le popolazioni e le comunità locali nelle aree interne. Interessi, conoscenza, cura e identità culturale verso il proprio territorio sono i migliori deterrenti allo sviluppo di grandi incendi forestali e alla minimizzazione del pericolo per l’incolumità delle persone. Le collettività rurali e montane in passato sapevano bene come reagire e cosa fare in caso di sviluppo di focolai.

Le foreste e le altre terre boscate nell’UE rappresentano circa 180 milioni di ettari (circa il 40% della superficie totale dell’Europa) e vi sono circa 16 milioni di proprietari di foreste. In termini socio-economici, il settore forestale fornisce occupazione a circa 3.5 milioni di persone, la maggior parte delle quali situate ancora nelle aree rurali. In questo contesto, l’emergente bioeconomia basata sulle foreste, ancora poco sviluppata nell’Europa meridionale, mostra promettenti opportunità per ridurre il rischio di incendi boschivi o l’entità dei danni provocati dagli stessi, aumentando nel contempo il potenziale economico delle foreste e la sostenibilità della vita nelle zone rurali (Verkerk et al. 2018). Quasi tutto ciò che viene dal petrolio può venire anche dal legno: riprendere la cura del territorio e del paesaggio e cominciare a far crescere (o ripartire…?) la bioeconomia anche nel mediterraneo può essere cruciale per avere successo. Per esempio, è possibile sviluppare filiere forestali efficienti producendo e promuovendo: l’uso di prodotti legnosi rinnovabili e la bioenergia; i prodotti forestali non legnosi; l’agro-selvicoltura e il silvo-pastoralismo; collegare coltivazioni, pascoli e filiere zootecniche di qualità (lattiero casearie e della carne) alla foresta, e incentivando queste attività, regolamentate, nelle aree dove la pianificazione antincendi a scala regionale, di parco o comprensorio, ha identificato il maggior rischio, può risultare di grande aiuto. Perché non pensare a nuovi marchi come “questo PECORINO è un prodotto che aiuta a prevenire gli incendi”?, “spegni il fuoco con il VINO”? Nuovi modelli imprenditoriali (spesso abbiamo solo la necessità di riscoprire vecchi prodotti spontanei per le nuove imprese e migliorarne il marketing e la produzione con le nuove tecnologie), a vantaggio degli agricoltori, degli allevatori e dei proprietari forestali, possono creare contemporaneamente posti di lavoro nelle zone rurali e ridurre la predisposizione dei nostri territori ad essere percorsi da grandi incendi. Inoltre, è assolutamente necessario investire in modo mirato sulla prevenzione selvicolturale (a partire dall’uso diffuso del fuoco prescritto, la cui efficacia risulta evidente ora anche da noi, come osservato l’anno scorso nel Parco Nazionale del Vesuvio – vedi https://www.youtube.com/watch?v=6XoFtoSW3dw), integrando trattamenti di gestione dei combustibili in aree strategiche con interventi selvicolturali estensivi che mirano a favorire foreste complesse e diversificate per struttura e composizione, più resistenti e resilienti ai disturbi naturali.

Un altro aspetto cruciale è la convergenza tra le agende di prevenzione incendi e conservazione della natura. Bisogna considerare che una parte considerevole della superficie percorsa dagli incendi nel 2017 ricade all’interno di Aree Natura 2000, la più grande rete mondiale di aree a preminente funzione conservativa istituita dalla legislazione sulla natura dell’UE. L’agenda di azioni programmate tra le misure di conservazione, come la gestione attiva di sistemi e habitat a determinismo antropico, l’uso regolamentato del fuoco rurale, l’aumento di specie autoctone e latifoglie, il controllo e lo sradicamento di specie aliene invasive, la reintroduzione degli erbivori selvatici e del pascolamento domestico per taluni ambienti, la creazione di discontinuità nella foresta e di mosaici di ecosistemi, è tanto un programma di gestione degli habitat prioritari e di interesse comunitario quanto un programma di prevenzione dei grandi incendi boschivi. È anche un’agenda per le infrastrutture verdi e per la riduzione del rischio di catastrofi naturali. La scala e la tempistica della sfida portata dal veloce cambiamento del regime degli incendi non permette l’assenza di gestione nelle aree rurali e in quelle semi-naturali, paradigma applicato a lungo, più o meno consapevolmente, che ha però dimostrato in molti casi risultati discutibili, come nelle Aree Protette duramente colpite dagli incendi nell’estate del 2017.

Abbiamo quindi bisogno di fare e far sapere dell’importanza di:

  • riportare le persone nei territori rurali offrendo reali opportunità per un’economia legata alle foreste. Solo in questo modo possiamo contrastare in modo efficace l’abbandono delle foreste e la promozione dei servizi ecosistemici, soprattutto con iniziative associative (anche tra proprietari privati di foreste) e gestione attiva e responsabile per la retribuzione dei servizi ecosistemici, l’ecoturismo e i prodotti forestali spontanei;
  • misure integrative e trasversali che si prendano cura dell’intero ecosistema forestale affrontando: prevenzione dei disturbi, protezione della biodiversità, miglioramento del paesaggio, pagamenti dei servizi ecosistemici, sostegno a prodotti innovativi. Per esempio, far convergere in un dato territorio il programma di prevenzione degli incendi con le misure del PSR per il settore agro-silvo-pastorale e l’agenda di conservazione della natura; ovvero, incentivare le attività agricole, pastorali e forestali, e gli interventi di conservazione della natura, nelle aree a rischio incendi, pianificando la distribuzione dei progetti da finanziare lì dove la pianificazione forestale ha individuato punti strategici di prevenzione. In questo senso, l’attuale spinta alla pianificazione forestale multilivello data dal TUF (D.lgs. 34/2018) con l’introduzione dei “piani forestali di indirizzo territoriale” è una grande opportunità per integrare le attività che mirano a valorizzare le risorse silvo-pastorali con quelle necessarie alla loro tutela, come la prevenzione dei grandi incendi;
  • coinvolgimento e sostegno delle comunità locali, che un tempo attuavano autonomamente le misure per difendersi e prevenire gli incendi, e conoscevano bene il loro territorio;
  • informazione per le persone e l’opinione pubblica, soprattutto nelle città, e di una comunicazione più ampia e corretta sui temi delle foreste nelle comunità urbane e rurali (prima di tutto: il fuoco è un fattore ecologico e può aiutare a preservare la diversità se ben gestito; non possiamo evitarlo, ma possiamo governarlo per ridurre i danni sulle aree percorse da incendi di elevata severità e mitigarne gli impatti negativi sui servizi ecosistemici);
  • una semplificazione delle misure amministrative da un lato e di maggiori contributi diretti agli Stati membri e alle amministrazioni regionali dall’altro;
  • più ricerca scientifica, innovazione nelle procedure e trasferimento tecnologico a supporto della bioeconomia possibile ma non ancora emergente.

La bioeconomia basata sulle foreste non è ancora molto diffusa nell’Europa meridionale ma ha un ampio margine di sviluppo. Se basata anche sulle foreste offrirà nuove opportunità per governare gli incendi boschivi attraverso investimenti privati e pubblici. La politica e il quadro finanziario post 2020, compresa la riforma della politica agricola comunitaria e altri fondi dell’UE che hanno un enorme impatto sul modo in cui i paesaggi sono modellati e gestiti, dovrebbero essere rivisti con attenzione ai necessari adeguamenti per prevenire i grandi incendi, a scala adeguata. Il nostro problema nazionale è da gestire insieme ai partners europei. La formulazione della prossima Strategia Forestale Nazionale dovrà ben considerare anche queste esigenze. Dobbiamo lavorare a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per riuscire ad anticipare assieme i prossimi scenari dei grandi incendi.

Bibliografia

  • Bacciu V, Salis M, Spano D (2013). Historical trends and future predictions of fire emission estimation in Italy. Atti della SISC Conference, pp. 720-736.
  • Bovio G, Marchetti M, Tonarelli L, Salis M, Vacchiano G, Lovreglio R, Mario E, Fiorucci P, Ascoli D (2017). Gli incendi boschivi stanno cambiando: cambiamo le strategie per governarli. Forest@ 14 (1): 202-205. – doi: 10.3832/efor2537-014
  • Castellnou M (2018). Forest fire: the big picture. Regional Fire Service Catalonia, Spain. In: “The role of bioeconomy in controlling forest fires: policy implications”. Thinkforest, Madrid, 29 May 2018.
  • EFI-SURE (2018). Living with wildfires: what science can tell us. Discussion Paper n. 15. European Forest Risk Facility. [online] URL: http://www.sure.efi.int
  • Pettenella D, Corradini G (2018). Il bosco brucia: un’occasione per riflettere sulla politica forestale in Italia. Agriregionieuropa 14 (52). [online] URL: http://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/52/il-bosco-brucia-unoccasione-riflettere-sulla-politica-forestale-italia
  • Verkerk PJ, De Arano IM, Palahí M (2018). The bio-economy as an opportunity to tackle wildfires in Mediterranean forest ecosystems. Forest Policy and Economics 86: 1-3. – doi: 10.1016/j.forpol.2017.10.016

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Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA), Università di Torino

Davide Ascoli

Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA), Università di Torino

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