EDITORIALE: Dopo la tempesta, i piani dell’uomo e la ricostituzione della foresta
di Marco Borghetti
Scuola SAFE, Università della Basilicata, v.le dell’Ateneo Lucano, Potenza (Italy)
Pubblicato in: Forest@ – Rivista di Selvicoltura ed Ecologia Forestale, vol. 16, pp. 1-2. – http://foresta.sisef.org/contents/?id=efor0071-016
La tempesta di vento che si è abbattuta su valli e montagne del Triveneto il 29 ottobre scorso ha danneggiato case e infrastrutture, sconvolto versanti e torrenti, abbattuto milioni di alberi, modificando in modo rilevante il paesaggio. Le immagini e i commenti si sono rincorsi su tutti i media (Motta et al. 2018).
La gente e le amministrazioni locali hanno mostrato grande capacità di reazione e in poco tempo hanno saputo racconciare la situazione, salvaguardando l’economia legata al turismo invernale. Se non è stato un miracolo, poco ci manca: chapeau.
Fronteggiata con successo questa grave emergenza, rimangono molti problemi da affrontare: la messa in sicurezza di strade, sentieri, ponti, alvei, elettrodotti (è di pochi giorni la notizia della disponibilità del gruppo Terna ad un accordo per un riassetto della rete di distribuzione elettrica, verificando la possibilità di limitare gli elettrodotti aerei). Le competenze tecniche in zona sono elevate, le imprese e le maestranze sono pronte. Occorrono però fondi e rapidità nella loro erogazione. La gente si aspetta questo: tempi brevi per i finanziamenti e gli interventi.
Nel settore forestale c’è ugualmente un’emergenza da affrontare subito e riguarda lo sgombero dei tronchi a terra, che non sarà comunque generalizzato e andrà valutato in base alla convenienza economica e a considerazioni ecologiche. La responsabilità dello sgombero è in carico ai singoli proprietari, i comuni nella maggior parte dei casi. Laddove non ci siano, a scala comunale, le capacità e le forze necessarie, dovrà essere rapidamente messo in atto un qualche principio di sussidiarietà, soprattutto nei casi in cui i fusti a terra compromettono le infrastrutture. Completato lo sgombero dovranno seguire le decisioni su cosa fare del legname: stoccarlo, lavorarlo, immetterlo sul mercato, con quali tempi? A questo riguardo sarà utile una strategia a scala più vasta, studiata con gli esperti di mercato.
Questo, grosso modo, per le cose da fare subito, senza indugi.
In rapporto invece alla ricostituzione della foresta abbattuta dal vento, tempi rapidi, se non la fretta, non sono la strada migliore. E mi auspico che non si vada in questa direzione.
Le tempeste di vento sono da interpretare alla stregua di un disturbo naturale che, periodicamente – oggi forse più spesso, per via del cambiamento climatico – incide sulla foresta. Gli ecologi forestali hanno compiuto approfondite ricerche sul tema, e oggi esistono paradigmi che aiutano a interpretare le dinamiche legate ai disturbi. Il sapere acquisito ci rende però consapevoli anche delle cose che ancora non si sanno; suggerisce cautela nel formulare previsioni di carattere generale, invitando a modulare su ogni specifico contesto le decisioni colturali; scoraggia dal programmare interventi con la fretta di chi vuole ripristinare, risistemare, cancellare le tracce, come se la natura fosse una casa cui rifare il tetto, un ponte da consolidare, una strada da mettere in sicurezza.
Questo sapere invita, piuttosto, a una strategia di osservazione e prudente attesa; sollecita a monitorare con attenzione la dinamica della rinnovazione naturale; a valutare attentamente questo processo in rapporto ai mosaici di mortalità del bosco e a quanto di esso è rimasto, alla variabilità delle condizioni micro-climatiche e geomorfologiche; mette in guardia circa l’attesa che il bosco possa ricostituirsi dappertutto in poco tempo, soprattutto negli ambienti climaticamente e pedologicamente più difficili.
La tempesta ha colpito boschi diversi, in differenti contesti ambientali, nella maggior parte peccete montane e sub-alpine, in misura minore abieteti e faggete: ogni situazione può fare storia a sé, in rapporto alle caratteristiche di clima e suolo, e anche alla presenza di fauna selvatica che possa compromettere la rinnovazione naturale.
Non c’è necessità, se non in casi particolari, di ricostituire artificialmente il bosco. In passato le cose erano diverse: il settore forestale rappresentava un asse portante dell’economia montana e lo stesso rimboschimento costituiva un’attività di grande rilevanza sul piano sociale. Dopo le tempeste che distruggevano i boschi, o dopo le distruzioni causate dagli eserciti, molta gente trovava lavoro nei cantieri di rimboschimento, da cui sono derivati buona parte dei boschi che oggi la tempesta di vento ha distrutto.
Oggi non è più così: non siamo sottoposti alle pressioni del passato, e possiamo modulare le scelte tecniche e gestionali su conoscenze e osservazioni scientifiche. Questo è fondamentale per gli eventuali rimboschimenti finalizzati alla ricostituzione boschiva; per i quali, si dovrà ricorrere a piantine prodotte da seme selezionato in base alle conoscenze sulla variabilità genetica delle specie forestali: ci vorrà necessariamente un po’ di tempo, ma non c’è altra soluzione accettabile. Per le specie forestali principali (picea, abete, faggio, ecc.) gli studi dimostrano che la variabilità intraspecifica riflette in gran parte le migrazioni con cui le specie si sono ridiffuse nel post-glaciale e i loro adattamenti. In questa variabilità si rispecchia quindi una storia naturale che va preservata con cura, evitando di alterarla con l’immissione di materiale estraneo ai processi naturali di adattamento.
Il sapere acquisito invita anche a una stretta collaborazione fra le varie professionalità scientifiche e tecniche (selvicoltori, ecologi, genetisti, tecnici faunistici, specialisti di telerilevamento, ecc.), anche al fine di un monitoraggio tempestivo ed esteso a tutto il sistema, nel quadro di una strategia gestionale su basi adattative. Il mondo della ricerca è allertato e disponibile; utilissimo è già stato il lavoro di quei ricercatori che, con misure da remoto, hanno efficacemente quantificato, quasi in tempo reale, le superfici forestali danneggiate dal vento.
Il bosco ci rimetterà del tempo a ricrescere, là di più, qui di meno; sarà un mosaico, anche su piccole superfici, dobbiamo aspettarci questo. Ma se avremo pazienza di aspettare, cresceranno boschi variegati, produttivi, belli da vedere e in grado di fronteggiare meglio le future tempeste.
Anche il paesaggio sarà diverso. Fin da ragazzo salivo per le valli dolomitiche, verso le pareti di roccia su cui avrei poi arrampicato. Fra i ricordi, uno è quello delle “finestre” che dalla strada consentivano di traguardare le montagne. Negli ultimi anni le strade si avvitavano spesso, con i loro tornanti, all’interno di una “galleria” verde. Ora qualche finestra si è riaperta e, se dalla macchina possiamo vedere montagne, nuvole e cielo, è bello anche così.
Bibliografia
Motta R, Ascoli D, Corona P, Marchetti M, Vacchiano G (2018). Selvicoltura e schianti da vento. Il caso della “tempesta Vaia”. Forest@ 15: 94-98. – doi: 10.3832/efor2990-015
Info Autori
SAFE - Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali
Università degli Studi della Basilicata
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