Prevenzione antincendio e la conservazione dell’ambiente: il caso della Pineta Dannunziana di Pescara

foto Vigili del Fuoco

Stiamo assistendo in questi giorni a diversi incendi che percorrono le foreste della penisola e distruggono coltivi, aziende pastorali e strutture commerciali/abitative, arrivando a mettere in pericolo le persone che vivono e frequentano gli ambienti naturali e le zone di interfaccia tra la foresta e le aree urbane.

Nei prossimi anni questi fenomeni aumenteranno in frequenza e di intensità a causa di diversi fattori che agiscono in modo sinergico: l’espansione delle foreste e delle aree boscate, che ha portato la superfice coperta da foreste in Italia a triplicarsi dalla fine del 19° secolo; la diffusione delle aree urbanizzate vulnerabili e delle zone di interfaccia tra città e foresta ed infine la crisi climatica, che crea condizioni favorevoli agli incendi con siccità prolungate alternate a periodi di precipitazioni intensa, quasi di carattere monsonico.

Questo è esattamente quello che stiamo vivendo in Italia in questi primi giorni di agosto, con una parte del paese interessato da temporali, trombe d’aria, grandinate e precipitazioni molto intense (che definiamo eccezionali ma che nel tempo dovremo abituarci a definire ordinarie) e un’altra parte flagellata dal fuoco a seguito di un periodo di prolungata siccità, temperature elevate e forti venti.

Come prepararci ad affrontare il rischio di ulteriori incendi?

Per anni, nell’immaginario collettivo ha prevalso la convinzione che investire risorse nello spegnere le fiamme fosse l’unico strumento. Oggi finalmente, grazie alle conoscenze scientifiche acquisite e a una maggiore capacità comunicativa del mondo della ricerca, si fa strada nell’opinione pubblica e tra i decisori politici la consapevolezza che l’estinzione è sì un ingrediente fondamentale del governo degli incendi ma, per essere efficace e sicuro, deve essere necessariamente abbinata alla prevenzione. Prevenzione significa diverse cose: poter contare su personale qualificato, dotato di attrezzature idonee e organizzato in una struttura pronta a risposte immediate; dotare il territorio a rischio incendi di viabilità e infrastrutture  di supporto alla lotta attiva (es. viali tagliafuoco); gestire il “combustibile” (la vegetazione infiammabile come erbe, arbusti, alberi e legna secca) in modo da ridurre l’intensità e la velocità del fronte di fiamma e, nello stesso tempo, ridurre il rischio per chi vive nell’area o si impegna nelle operazioni di estinzione [1].

Questa cultura, che sta lentamente ma gradualmente diffondendosi nel nostro paese, trova oggi ancora ostacoli culturali. Un caso emblematico è quello della Riserva abruzzese della Pineta Dannunziana, interessata il 1 agosto 2021 da un incendio di chioma in piena zona di interfaccia. La pineta, localizzata all’interno della città di Pescara, è l’eredità di un rimboschimento fatto dal Marchese D’Avalos nel ‘500. Gli attuali alberi derivano quasi completamente da rimboschimenti svolti dall’ex Corpo Forestale dello Stato a partire dal dopoguerra e fino agli anni ‘80. Non si tratta quindi di un bosco primigenio, ma di un rimboschimento artificiale di conifere, altamente infiammabile e localizzato all’interno di una città densamente abitata.

Prima dell’istituzione della Riserva venivano regolarmente effettuate operazioni colturali come i diradamenti forestali, lo sfalcio delle invasive erbacee ed arbustive e la rimozione della necromassa, proprio per ridurre il pericolo di incendi tenendo conto della particolare localizzazione del bosco.

Con l’istituzione della Riserva, tuttavia, è stato adottato un Piano di assetto naturalistico che ha imposto di non effettuare interventi colturali ed assecondare lo sviluppo della vegetazione secondo la sua dinamica naturale.

In una situazione come quella italiana, caratterizzata da secoli o millenni di profonda trasformazione dell’ambiente naturale da parte dell’uomo, la scelta della rinaturalizzazione è opportuna e condivisibile quando ne esistono le condizioni: una naturalità residua ancora elevata, la presenza di specie autoctone e di un contesto ambientale e socio-economico tale da favorire e accettare che il bosco segua le proprie dinamiche naturali su lunghi periodi. Al contrario, quando un bosco di origine artificiale o fortemente antropizzato viene “abbandonato”, questo non va incontro a “rinaturalizzazione” bensì a “degrado”, rischiando di perdere la capacità di fornire i servizi ecosistemici richiesti dalla società e di attraversare una perdita di diversità biocolturale specifica e strutturale.  Una delle conseguenze di questo degrado è anche l’aumento del pericolo di incendio a seguito di un incremento della quantità e della connettività della vegetazione infiammabile a scala di popolamento e di paesaggio.

I colleghi dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Pescara (prot. 217 del 2018) hanno segnalato già tre anni fa alle amministrazioni competenti la gravità ed il pericolo della scelta fatta dal Piano di assetto naturalistico della Riserva e la grave “mancanza previsionale di opere antincendio quali piste, fasce tagliafuoco e ripulitura del sottobosco a prevenzione sia della pineta ma soprattutto della città…” e di “opere selvicolturali preventive atte a scongiurare che il fuoco possa passare da radente a quello di chioma”.

Invece, l’applicazione del Piano di assetto naturalistico della Riserva della Pineta Dannunziana ha accentuato le condizioni favorevoli allo sviluppo e alla diffusione di un incendio che ha provocato danni ambientali (la quasi completa perdita delle foreste della Riserva), economici e sociali (costi per l’estinzione e la ricostituzione oltre alla perdita di un’area dall’elevato valore sociale), e gravi rischi sia per le persone che vivono nell’area o la frequentano sia per gli operatori della Regione, dei vigili del fuoco, della Protezione Civile e volontari che sono intervenuti per spegnere l’incendio.

Nelle politiche di gestione del territorio e delle foreste è di fondamentale importanza acquisire la consapevolezza che stiamo vivendo più crisi simultanee: quella del clima e quella della biodiversità. Conservazione, lotta al climate change e prevenzione dei rischi non devono essere in contrapposizione, ma complementari e sinergiche. Come suggerito dall’ultimo rapporto congiunto IPCC-IPBES sulla biodiversità e il cambiamento climatico [2], le soluzioni valide sono solo quelle che affrontano entrambi gli aspetti in modo sostenibile, su basi scientifiche e rifuggendo scelte ideologiche a priori.

In Italia, a differenza di quanto già avvenuto in Grecia, Spagna e Portogallo, i grandi incendi che hanno provocato danni ambientali ed economici ingenti non sono stati finora accompagnati da significative perdite di vite umane. Considerando però il contesto climatico e territoriale del nostro paese, il rischio che una situazione di questo tipo si verifichi in un prossimo futuro è molto alto. Tuttavia, possediamo già tutte le conoscenze e le competenze necessarie a pianificare e applicare corrette politiche di prevenzione e di gestione del fenomeno degli incendi boschivi: facciamoci trovare preparati, affinché le conseguenze del cambiamento climatico non si trasformino in prevedibili “fatalità”.


[1] https://www.greenpeace.org/static/planet4-italy-stateless/2020/08/1e5628b6-report_incendicc_finale.pdf

[2] https://ipbes.net/events/launch-ipbes-ipcc-co-sponsored-workshop-report-biodiversity-and-climate-change

Info Autori

Università degli Studi di Torino | Altri Posts

Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA),
Università degli Studi di Torino, Grugliasco (TO),
Presidente SISEF

Altri Posts

Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA), Università di Torino

Università degli Studi del Molise, Pesche (IS) | Altri Posts

Dipartimento di Bioscienze e Territorio (DiBT)
Università del Molise, Pesche, IS

Università degli Studi di Milano | Altri Posts

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia (DISAA)
Università degli Studi di Milano

Articoli correlati