Che fare prima del periodo critico?

Incendi Delogu - prevenzione

C’è sempre un “prima” quando si traguarda un periodo “critico”. Il problema è definire il “quando”.

Parlando di incendi boschivi  non possiamo occuparcene,  in modo rituale, al solo cambio di stagione che prelude al periodo secco (che di norma è l’estate per le regioni mediterranee e l’inverno per la regione alpina) in quanto è già troppo tardi! L’espressione in uso tra i molti operatori che analizzano un evento di incendio è la seguente:  “l’incendio doveva essere spento 20 anni prima”, intendendo con questo che l’incendio è un “evento complesso”[1], che presenta tutta una serie di elementi che si intersecano tra il sistema umano e quello naturale e che richiedono un approccio lungimirante e adeguato nel tempo e nello spazio. Adottare tutti i provvedimenti tesi ad impedire – o per lo meno a minimizzare – gli effetti dannosi di un incendio, è pertanto di fondamentale importanza. Si tratta di provvedimenti che devono entrare anche oltre i confini del bosco percorso dalle fiamme, nel sistema territoriale che accoglie l’evento stesso. E che devono essere pensati, progettati ed attuati per tempo, in modo organico.

Si tratta dell’applicazione di tutte le fasi del cosiddetto ciclo delle emergenze” che va ben al di là della “risposta all’evento” nella sua immediatezza, ma che al contrario precede la risposta stessa. Parliamo dunque di: ripristino, prevenzione, grado di preparazione, early warning.[2] Queste fasi, profondamente interdipendenti tra loro, incorporano una serie di azioni di prevenzione sia strutturale che non strutturale (come previsto dal D.Lgs. 2 gennaio 2018 n°1 (Codice della Protezione civile). Sono azioni che complessivamente riguardano l’impegno delle istituzioni pubbliche, delle amministrazioni governative ma anche delle responsabilità individuali di azione e comportamenti quotidiani.

Spegnere un incendio “venti anni prima” significa costruire un territorio autoprotetto, identificando i punti critici nei quali il comportamento di un possibile incendio possa modificarsi (snodi di cresta, selle, canali e loro diramazioni, buffer di aree di interfaccia etc.) e su quelli pianificare le azioni preventive che sostanzialmente riguardano il cambio della struttura della vegetazione, interrompendo la continuità verticale e orizzontale dei combustibili; inoltre creare una adeguata viabilità di fuga e zone sicure ben conosciute attraverso frequenti incontri con la popolazione e con gli operatori (esercitazioni, discussioni pubbliche, ricostruzioni degli eventi passati per apprendere delle lezioni utili[3]).


A livello individuale le ordinanze regionali emanate ai sensi della L. 353/00 definiscono le prescrizioni e i divieti da adottarsi su scala generale da parte di tutti i cittadini, nelle varie articolazioni produttive (gestori di campeggi, di residences, agricoltori, gestori di boschi, singoli cittadini) ma talvolta si tratta di prescrizioni generiche che non tengono in nessun conto la tipologia di incendio a cui si può andare incontro. E comunque, anche in questo caso, sono disposizioni che valgono solo “durante” il periodo dell’emergenza. Solo in alcuni casi (ad es. i Piani antincendio delle Unioni dei Comuni della Toscana[4])  si possono incontrare progetti e prescrizioni di dettaglio che derivano da un’adeguata conoscenza del territorio e da scelte di pianificazione locale e coinvolgimento dei cittadini utili a costruire negli anni paesaggi e comunità autoprotette (fire-wise communities[5]).


Una grande opportunità di investimento in questo campo è dato anche dai progetti a bando con la Misura 8 sottomisura 8.3 del Piano di Sviluppo rurale  “Sostegno alla prevenzione dei danni arrecati alle foreste da incendi, calamità naturali ed altri eventi catastrofici” ma le procedure e i tempi di programmazione richiedono un forte impulso pianificatorio ed organizzativo per assegnare un significato sistemico a singoli progetti aziendali. Per questo, si suggerisce di rivedere con forza l’importanza dei Piani AIB – da riconsiderare su scala regionale, comprensoriale, locale –   e quella relativa alla pianificazione territoriale forestale e di prevenzione che sarebbe utile reimpostare nell’ottica della “selvicoltura di prevenzione” (come direbbe il prof. Domingo Molina Terrén, dell’Università di Lleida, “restaurar en verde”– prima dell’incendio,  anziché “restaurar en negro” cioè dopo il passaggio dell’incendio). Per quanto concerne gli operatori e gli addetti alle emergenze il processo di addestramento e di apprendimento non può che essere continuo, affidato a frequenti briefing/debriefing e riflessione condivisa sulle nuove conoscenze in termini di comportamenti attesi dagli incendi (in rapporto al cambio climatico e ai previsti possibili estremi meteorologici), migliorando le professionalità e specializzazioni (analisti degli incendi boschivi, strutture e procedure di comando/controllo, integrazione fra componenti regionali e nazionali etc.)

Pertanto, il “prima” può essere descritto come un processo lungo, articolato e duraturo, non legato a ritualità stagionale e può essere sostituito dalla parola: “sempre”.


[1] ( Tedim, F., Leone, V., Xanthopoulos, G., 2016 “A wildfire risk management concept based on a social-ecolocical  approach in the European Union: Fire Smart Territory.” Int. Journal of Disaster risk Reduction, 18, 138-153,      http://doi.org/10.1016/j.ijdrr.2016.06.005)

[2] UNISDR 2009 Terminology on Disaster Risk Reduction, www.unisdr.org/publications

[3] https://www.wildfirelessons.net/home

[4] L.R. della Toscana n. 39 del 21 marzo 2000 (“legge forestale”) e successive modifiche

[5] https://www.nfpa.org/Public-Education/Fire-causes-and-risks/Wildfire/Firewise-USA

Info Autori

Giuseppe Mariano Delogu
Docente @ Dipartimento di Agraria, Università di Sassari | Altri Posts

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