Perché se le piante fioriscono prima non è una bella notizia

Il 26 marzo del 2021 per la prima volta da più di mille anni, i ciliegi di Kyoto hanno raggiunto la piena fioritura con un anticipo eccezionale. Per risalire ad un evento paragonabile bisogna tornare indietro tra le pagine dei diari e delle cronache scritte dagli imperatori, dai governatori e dai monaci giapponesi e arrivare ai primi anni del 1600 o, ancora prima, nel 1409. La ricostruzione degli eventi di fioritura del ciliegio a partire dal 812 mostra un andamento più o meno stabile fino ai primi decenni del 1800, nei quali il picco della fioritura si è sempre verificato a metà aprile circa (in media il 105° giorno dell’anno). A partire da metà dell’1800, ma con maggiore intensità dopo il 1900, la data di massima fioritura è andata spostandosi verso i primi giorni di aprile. Non è tanto il singolo evento al quale corrisponde un anticipo così marcato che dovrebbe preoccupare (all’estremo opposto si sono verificati picchi di fioritura a inizio maggio) ma la tendenza che si delinea e che, con buona probabilità, tenderà ad aumentare. Recenti modelli previsionali hanno infatti stimato che entro il 2100 in risposta all’aumento della temperatura i ciliegi fioriranno in media fino a 30 giorni prima.

La fenologia (il “calendario” delle diverse fasi di una pianta) è fortemente controllata dal clima e di conseguenza i cambiamenti temporali fenologici che sono stati osservati negli ultimi decenni possono essere -con buona probabilità- attribuiti al cambiamento climatico. In linea generale l’inizio della fioritura è correlata con la temperatura media del mese o dei mesi precedenti la fioritura. I ciliegi in fiore sono un indicatore perfetto perché sono molto sensibili alle temperature e al contempo debolmente sensibili al fotoperiodo (la durata dell’illuminazione giornaliera) e raccontano in maniera evidente ciò che le ricostruzioni climatiche e i modelli di previsione dicono da tempo.

Ma, in fondo, perché un anticipo della fase di fioritura dovrebbe rappresentare un problema di cui preoccuparsi?

Esistono due ordini di questioni, con un grado di evidenza diverso. Ad un livello più nascosto, si direbbe silente, bisogna considerare l’effetto domino dei cambiamenti della fenologia che sono strettamente legati alle reti di interazioni tra piante e animali. Le differenze fenologiche possono provocare infatti una asincronia, uno sfasamento temporale tra fiori e impollinatori, ad esempio gli imenotteri come le api e le vespe o i lepidotteri come le farfalle o le falene. Quando, in funzione del proprio ciclo vitale, gli impollinatori superano il letargo o lo stadio larvale non sono più in grado di trovare piante in fiore e si interrompe di fatto la catena trofica. Nel lungo periodo gli effetti negativi possono determinare la morte degli impollinatori e l’impossibilità delle piante di riprodursi, moltiplicando la probabilità di co-estinzione. Considerato che circa l’87% delle angiosperme sono impollinate da animali le conseguenze negative di questi disallineamenti appiano allarmanti. Ad aumentare la complessità del quadro occorre considerare che i cambiamenti climatici influenzano anche la fenologia animale, secondo una stima ad esempio, negli ultimi 60 anni la data media di volo degli impollinatori si è spostata di 6 giorni aumentando il grado di incertezza sulle possibilità che le fasi fenologiche di piante e animali coincidano. 

L’anticipo della fioritura ha inoltre delle conseguenze più visibili, poiché aumenta la probabilità che le piante siano esposte ai danni da gelo con conseguente comparsa di necrosi e stati di alterazione che nei casi gravi possono portare anche alla morte, rappresentando comunque un serio pericolo per la fruttificazione (in caso di coltivazioni producendo un danno economico diretto) e per la riproduzione della pianta. 

Dall’osservazione della fioritura dei ciliegi di montagna nel VIII secolo, gli antichi giapponesi ricavavano le profezie sulla qualità della raccolta autunnale di riso, e un anticipo della fioritura era considerato di cattivo auspicio. Noi riusciremo a capire -in tempo- la gravità dei cambiamenti climatici? 

Info Autori

Altri Posts
Università degli Studi di Milano | Altri Posts

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia (DISAA)
Università degli Studi di Milano

Articoli correlati