Quanto contano i maschi?

Per la rubrica SISEF “Pillole di Scienze Forestali” pubblichiamo il contributo del Professor Jacob Moutouama (University of British Columbia)
Quanto contano i maschi nell’adattamento delle piante al cambiamento climatico?
Sembra una domanda assurda: che c’entrano “i maschi” con le piante? Le piante hanno maschi e femmine? E’ abbastanza raro, ma il 6% delle piante (circa 15000/16000 specie al mondo) sono “dioiche”, cioè gli individui possono essere maschi oppure femmine. In Italia, lo sono i ginepri, i pioppi, i salici, il frassino maggiore, ma anche piante di più piccola taglia come le ortiche, l’edera o l’asparago.
Se una pianta è dioica, gli studiosi delle popolazioni vegetali tendono ad ignorare i maschi: si studiano solo le femmine, le uniche che possono produrre seme e determinare la sopravvivenza della popolazione. Però, se per qualche motivo i maschi venissero a mancare, non ci sarebbe più polline per i fiori femminili, e quindi neanche semi.
In alcuni casi, è possibile che maschi e femmine abbiano preferenze ambientali diverse, e che gli uni siano più vulnerabili delle altre al cambiamento climatico.
Cosa succederebbe allora se i maschi iniziassero a scarseggiare?

Infiorescenze della Poa arachnifera, i cui setosi peli bianchi ricordano una ragnatela. E’ da questi peli che deriva il nome scientifico della specie, “arachnifera”.
Per rispondere a queste domande, un gruppo di ricerca della Rice University a Houston, in Texas, ha escogitato un esperimento con un “organismo modello”: una pianta facile da manipolare, particolarmente sensibile al clima, e dove i meccanismi biologici che si vogliono comprendere si manifestano molto chiaramente. La biologia è piena di organismi modello: la drosofila nella genetica, il topo in medicina, il ratto in tossicologia… Nel nostro caso, l’organismo modello è un’erba sconosciuta a tutti quelli che non si occupano di foraggio nelle grandi pianure americane: la Poa arachnifera, una graminacea abbastanza comune nelle praterie del Texas, Oklahoma, e Kansas meridionale.
Il gruppo di ricerca ha condotto due esperimenti: uno di impollinazione, e uno in “giardino comune”. Nel primo, hanno piantato maschi e femmine di Poa in diverse proporzioni (da solo maschi, a solo femmine), per capire quanti fiori riesce a impollinare ogni maschio. Nel “giardino comune“, i ricercatori hanno coltivato plantule di Poa arachnifera in 14 località, dentro e fuori l’attuale areale della specie, misurando per tre anni i tassi di sopravvivenza, la crescita, e la fioritura. Combinando i dati con un modello demografico, hanno stimato come potrebbe cambiare in futuro l’areale della specie, e cercato di capire se maschi e femmine reagiscono in modo diverso al cambiamento climatico (per esempio, se uno dei due resiste meglio alla siccità).
I risultati
Le femmine fioriscono più dei maschi, ma solo in presenza di temperature estreme – sia quelle più basse che quelle più alte. In queste condizioni, quasi tutti i fiori (80%) sono femminili. Questo sbilanciamento supera la soglia critica oltre la quale la produzione di semi cala drasticamente, perché ci sono troppi pochi maschi per fornire sufficiente polline alle femmine. Entro il 2100, l’areale della Poa arachnifera migrerà verso nord di centinaia di chilometri a causa del cambiamento climatico, e nelle aree climaticamente più difficili la mancanza di maschi potrebbe ostacolare in modo lieve la probabilità della specie di sopravvivere. In tutti gli altri punti geografici, tuttavia, non ci saranno grossi problemi di impollinazione, perché ogni maschio potrà comunque fecondare tutte le femmine presenti nella popolazione locale.
La morale è che nelle piante dioiche i maschi hanno un’importanza marginale nella risposta delle specie al cambiamento climatico; una buona notizia per le predizioni ecologiche, che possiamo considerare accurate anche quando ignorano del tutto il contributo dei maschi, diminuendo quindi la quantità di dati e risorse computazionali richieste.