Cosa succede agli organismi che vivono nel suolo dopo un incendio?
Il suolo rappresenta una risorsa non rinnovabile preziosissima, basti pensare che per la formazione di un solo 1 cm è necessario aspettare fino ad un secolo e per un profilo evoluto anche millenni. Inoltre, il suolo è il più grande “serbatoio” di carbonio dopo gli oceani, svolgendo una serie insostituibile di servizi ecosistemici, dalla filtrazione e depurazione delle acque, alla mitigazione dei fenomeni idrogeologi ed erosivi, ed è il substrato nel quale si insedia la maggior parte della vegetazione, ospita la maggior parte degli esseri viventi e tra questi rivestono una fondamentale importanza i microrganismi. Tra i fattori di degrado, gli effetti che gli incendi producono sul suolo sono poco noti, soprattutto da parte dei non “addetti al lavoro”. Quando si propaga un incendio sotterraneo, la gravità dipende da vari fattori: se il fuoco ed il calore prodotto, come generalmente accade, è di breve durata e persistenza i danni saranno limitati allo strato superficiale e questo dipende in gran parte dal tipo di combustibile ma anche dall’umidità. Se il fuoco invece permane per lungo tempo a causa della scarsa umidità, come nella attuale stagione, ma anche per la tipologia di vegetazione esistente, per esempio piante con radici più o meno profonde che possono bruciare, allora le conseguenze possono essere gravi con modificazioni delle componenti chimico fisiche e biologiche del suolo.
Una review pubblicata recentemente ha analizzato l’impatto a breve e lungo termine degli incendi sugli organismi del suolo. Il suolo ospita infatti miliardi di microrganismi (10 g di suolo ne possono contenere 9 miliardi) che distinguiamo in micro, meso e macrofauna (che nel complesso possiamo definire pedofauna), la microflora composta da alghe e funghi attinomiceti, i virus e i batteri. Questa componente svolge un ruolo fondamentale per la degradazione e mineralizzazione della sostanza organica, per la produzione di humus e tantissime altre funzioni. Secondo gli autori della review il fattore chiave per analizzare gli effetti indiretti degli incendi sul suolo è la perdita di sostanza organica soprattutto nel caso di incendi estremi. Anche la frequenza è un fattore importante. Se il terreno bruciato non è percorso dal fuoco in periodi troppo ravvicinati per il regime di incendio di quella determinata zona, la maggior parte dei suoi componenti viventi è generalmente in grado di tornare ai livelli pre-incendio in tempi che dipendono da una serie di fattori, quali gravità e precipitazioni.
L’impatto di un incendio è diverso anche in caso di fuoco prescritto, nel quale gli organismi di solito non subiscono danni sostanziali e duraturi e la maggior parte dei vertebrati è in grado di fuggire o nel caso di organismi piccoli ritirarsi in terreni più profondi e adattare strategie riproduttive idonee. L’impatto del fuoco è decisamente più grave con gli incendi boschivi, che possono raggiungere temperature al suolo di 600-700 °C e oltre, e lasciano ampie superfici esposte e più soggette ad erosione. I vertebrati particolarmente suscettibili agli incendi sono gli anfibi, che possiedono una mobilità inferiore rispetto a mammiferi e rettili, e soffrono di più le temperature più elevate e la minore umidità, tipiche delle zone senza o con poca copertura. Per quel che riguarda i microorganismi i funghi subiscono danni maggiori rispetto ai batteri, come maggiore è il tempo di recupero, mentre per i lombrichi (invertebrati di importanza cruciale per funzionalità e fertilità del suolo) non si verificano effetti negativi in termini di abbondanza e diversità. In linea generale gli autori della review hanno evidenziato come la risposta sia taxa dipendente ma che per un recupero completo sia spesso necessario più di un anno (a volte decenni) per i microrganismi per ricolonizzare il suolo partendo dalle zone meno colpite dall’incendio e poi espandersi lentamente sul restante territorio. Quando gli incendi colpiscono periodicamente e sistematicamente le stesse zone, il problema si aggrava enormemente soprattutto a causa dell’insediamento della vegetazione pioniera e con il conseguente cambio della composizione microbica.
A lungo andare le modificazioni potrebbero portare alla desertificazione dei territori colpiti, un rischio che molte aree a clima mediterraneo corrono anche a causa dei cambiamenti climatici