Commercio illegale di legname: le foreste si tingono di nero

foto: Felipe Werneck/Ibama via  flickr 

I traffici internazionali e le attività illegali nel settore foresta-legno fruttano alla criminalità organizzata fino a 100 miliardi di euro ogni anno e rappresentano la seconda voce di “fatturato” dopo quello della droga che vanta il primato di 200 miliardi di euro (fonte: Interpol).

Tra le piante in via di estinzione, il palissandro è la specie più soggetta al taglio e al commercio illegali.  Apprezzato per la durabilità e il colore intenso, è usato per costruire mobili di pregio e strumenti musicali, con un mercato in continua crescita. Un recente articolo ha analizzato i fattori che stanno alla base del taglio illegale di palissandro in Ghana, dimostrando come le dinamiche su scala globale interagiscano con i processi su scala locale. Per regolare il taglio e l’utilizzazione del palissandro, molti Paesi africani hanno adottato approcci centralizzati di governance forestale. A seguito di diversi divieti parziali, il governo del Ghana ha posto un divieto totale all’utilizzazione di palissandro nel marzo 2019.

Nonostante questi divieti, l’abbattimento e l’esportazione illegale di palissandro continuano a persistere. Traendo spunti teorici dall’ecologia politica e sulla base della ricerca empirica nel nord del Ghana, gli autori analizzano i driver della persistente illegalità nel commercio del palissandro. I risultati rivelano un complesso mix di processi multiscalari. Considerata la fragilità socioeconomica che caratterizza il Ghana, il flusso di capitali esteri verso le comunità locali costituisce un incentivo chiave per la formazione di un network illegale tra rivenditori di palissandro e popolazione locale per il taglio e l’esbosco.  La povertà e il cambiamento climatico sono stati evidenziati come fattori principali che contribuiscono all’aumento del taglio illegale di palissandro, costringendo i piccoli agricoltori a ricorrere a questo espediente come mezzo di sostentamento, specialmente nella lunga stagione secca. I risultati mostrano inoltre come la corruzione delle alte sfere di controllo e dei funzionari statali giochi un ruolo importante e sia incorporata nei rapporti tra i vari attori della filiera, qualsiasi sia la complessità relazionale (sia a livello locale che nazionale). 

Uscendo dal caso specifico descritto da questo articolo, l’azione criminale dei tagli illegali delle foreste interessa prevalentemente il Sud del Mondo (ma secondo  Interpol e diverse Ong anche i Paesi balcanici e la ex-URSS sono diventate aree di saccheggio di legno di pregio con destinazione Europa, Nord America e Cina); nei Paesi di destinazione, tra cui l’Italia, spesso si ignora la provenienza criminale della materia prima, anche perché la documentazione è “corretta” da abili mani di contraffattori o vidimati da controllori corrotti nei Paesi d’origine. Per affrontare questo problema, fin dal 2003 l’UE ha sviluppato il portale FLEGT (Forest Law Enforcement, Governance and Trade) Action Plan che comprende una serie di provvedimenti per prevenire l’immissione in commercio di legname illegale. Nel 2010, per contrastare il commercio all’interno dell’UE di legname raccolto illegalmente e dei prodotti da esso derivati, è stato emesso il “Regolamento Legno” n. 995/2010 (EUTR), in Italia diventato operativo nell’ottobre 2014.

Il taglio illegale delle foreste equatoriali e tropicali, numeri alla mano, determina una perdita di superficie forestale inferiore rispetto a quella determinata dal disboscamento per l’allevamento di bovini, l’agricoltura industriale (come la coltivazione di soia, canna da zucchero, olio di palma, ecc.) o piantagioni intensive per alberi da cellulosa, ma rappresenta indiscutibilmente l’anticamera alla sostituzione della foresta primaria con un’area agricola. Il commercio illegale del legname porta con sé ulteriori conseguenze negative nei Paesi d’origine, come fenomeni di riciclaggio di denaro sporco, di traffico di armi e di droga, fino al finanziamento illegale di guerre o di dittature militari. Inoltre il taglio illegale produce una concorrenza sleale verso chi opera nel rispetto delle leggi creando un effetto “dumping” abbassando i costi di produzione, rendendo poco competitiva la gestione sostenibile delle foreste e la certificazione delle operazioni forestali, che risultano più costose rispetto al materiale senza garanzie.

A fronte di una economia globalizzata basata sulla finanza e sui profitti slegati dal territorio, si cerca di riportare il settore forestale all’economia basata sul guadagno come crescita delle comunità e dei suoi valori. Uno dei principali strumenti in mano alla Società Civile per ottenere la trasparenza in tutti i passaggi di trasformazione del legname e la sua origine legale e sostenibile è la certificazione forestale, strumento nato agli inizi degli anni ‘90 per permettere al mercato dei prodotti di origine forestale “virtuosi” di dotarsi di valori come trasparenza procedurale, sicurezza per i lavoratori e gestione responsabile delle risorse forestali.

Attualmente questo strumento non ha ancora preso pienamente piede, considerato che si stima da dati UNECE FAO, che solo l’11% delle foreste e il 30% dei prodotti di origine forestale a livello mondiale sono coperti da certificazione PEFC e FSC. L’adozione di “politiche d’approvvigionamento” pubbliche e private che obblighino l’uso di materiali certificati stanno diventando sempre più operative, quindi la speranza è che presto il mercato diventi anch’esso un “driver” positivo per la gestione sostenibile delle risorse forestali a livello globale. 

Info Autori

Antonio Brunori
Dottore Forestale. Segretario generale PEFC Italia @ PEFC Italia | Altri Posts

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