Il castagno: una risorsa per la ripresa delle aree interne
In Europa, i boschi di castagno occupano un’area grande più o meno quanto il Piemonte, di cui il 90% circa è concentrato in Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Svizzera. In Italia, i castagneti sono diffusi in tutto l’arco alpino e appenninico, soprattutto nelle aree comprese tra i 500 e 1000 m di altitudine, e raggiunge un’estensione di circa 800.000 ha (quanto il Friuli-Venezia Giulia).
In passato, la versatilità del castagno e la sua capacità di fornire sia castagne che legno, oltre a funghi, tartufi e servizi ecosistemici come la regimazione delle acque, ne hanno incentivato la diffusione sulle colline e le montagne del territorio nazionale, caratterizzando la cosiddetta civiltà del castagno. Tuttavia dal secondo dopoguerra, a seguito della diffusione di diverse malattie (mal d’inchiostro e cancro corticale del castagno) e parassiti (cinipide galligeno del castagno) e dei cambiamenti socioeconomici, si è assistito ad un progressivo abbandono della coltivazione del castagno e ad un invecchiamento dei castagneti esistenti.
Ma qual è il futuro del castagno in Italia? E quali sono le sfide e le opportunità di valorizzazione?
A queste domande ha cercato di rispondere un recente studio del gruppo di ricerca in Economia forestale dell’Università di Torino, che ha analizzato i punti di forza, di debolezza, le opportunità e le minacce legati al castagno. I risultati hanno evidenziato alcune strategie per valorizzare il castagno dal punto di vista ambientale, economico e sociale e promuovere il rilancio delle aree interne (cioè quelle aree distanti dai principali centri di offerta di servizi essenziali) nel rispetto degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile promossi dall’Agenda 2030 dell’ONU.
Dal punto di vista ambientale lo studio suggerisce che il recupero della gestione selvicolturale dei castagneti possa garantire non solo la conservazione, la sostenibilità e l’uso del legno, ma valorizzare anche i servizi ecosistemici forniti dal bosco, ossia quei benefici offerti come la funzioni di protezione dall’erosione, quelle turistiche-culturali o i prodotti “secondari” come funghi e tartufi. Inoltre, una strategia che si basi sull’alto livello di conoscenza e sulla tradizione consolidata nell’utilizzo del castagno può promuovere la gestione forestale dei castagneti come strumento di mitigazione dei cambiamenti climatici. Per fare questo è importante adottare politiche e programmi che a diverse scale spaziali e temporali riescano ad aumentare la capacità dei boschi di castagno di resistere alle avversità biotiche e abiotiche e contribuire alla prevenzione dei rischi naturali, aumentandone la resilienza. Per una buona riuscita dovrebbero essere coinvolti tutti gli attori della filiera, sia pubblici sia privati, e la società civile. Da qui l’importanza del continuo sviluppo della ricerca, delle attività di formazione degli operatori del settore forestale e della comunicazione finalizzata alla sensibilizzazione dei decisori politici, dei diversi portatori di interesse e dei cittadini
Dal punto di vista economico la strategia proposta dallo studio mira a superare alcune debolezze, come l’eccessiva frammentazione fondiaria e la scarsa pianificazione forestale, attraverso la promozione di forme di cooperazione e l’associazione tra proprietari boschivi, tecnici, gestori e imprese forestali. Lo studio suggerisce che l’adozione di strumenti come i marchi di qualità che certifichino anche l’origine e la sostenibilità del castagno e il potenziamento delle catene locali di approvvigionamento per le imprese di trasformazioni locali, potrebbero valorizzare ancora di più l’offerta e contribuire a ridurre la dipendenza dal mercato di importazione. Questo valore aggiunto che si verrebbe a creare potrebbe rappresentare un forte motore economico e sociale per il rilancio del settore.
Infine, secondo lo studio il recupero colturale del castagno e il miglioramento delle sue filiere passa attraverso la promozione di un’innovazione tecnologica avanzata per le imprese di trasformazione e delle capacità imprenditoriali. Esiste infatti un forte know-how nella realizzazione di prodotti unici ad alto valore come quelli destinati al design e quelli tipici della manifatturiera tradizionale italiana, che deve essere proiettato in chiave moderna.
Il futuro del castagno in Italia è nelle mani di molti portatori di interessi, non solo la politica ma anche il settore produttivo e la coscienza civile. Il recupero della gestione selvicolturale dei castagneti e lo sviluppo della filiera ad essi collegata possono rappresentare una grossa opportunità di rilancio del settore e di promozione economica e sociale del territorio.
Stefano Bruzzese, Simone Blanc e Filippo Brun