EDITORIALE: Dietro i fatti ci sono le idee (e il linguaggio)

1. Ho recentemente partecipato al Secondo Congresso Internazionale di Selvicoltura. Come sempre dopo un evento scientifico, tornando a casa mi sono chiesto: “Che cosa ho imparato?”. Il Congresso ha avuto grande successo, sia per numerosità di studiosi, scienziati, ricercatori, addetti ai lavori e studenti intervenuti, sia per copiosità di informazioni, casi di studio, tecnologie, idee. Ma un aspetto mi ha particolarmente colpito: l’improcrastinabilità del superamento di due “mantra” che hanno sotteso molta ricerca forestale in questi ultimi anni, relativamente ai concetti di “sostenibilità” e di “servizi” ecosistemici. Di fatto, io stesso ho non di rado evocato soprattutto il primo di questi due termini in molte pubblicazioni. Alcune presentazioni e discussioni al Congresso hanno però permesso di chiarirmi le idee: il problema è che queste parole sono improprie se applicate con riferimento alla gestione di ecosistemi (quali quelli forestali) e più in generale alla gestione dei sistemi socio-ecologici (sensu Folke, 2006). 
2. Il concetto di sostenibilità risale alle prime conferenze a carattere ambientale promosse dalle Nazioni Unite negli anni ’70 e, in particolare, è noto al grande pubblico nella accezione di “sviluppo sostenibile”, concetto in sé contraddittorio in quanto è impossibile uno sviluppo indefinito, per sostenibile che sia, in un ambiente finito, quale il nostro Pianeta. In generale, comunque, il concetto di ”sostenibilità” si riferisce ragionevolmente alle capacità e modalità di poter continuare a lungo termine l’uso di risorse naturali garantendo l’equità intergenerazionale dei benefici ritraibili. La questione è se questo concetto sia davvero utile come strumento di governance e gestione dei sistemi socio-ecologici, come recentemente discusso da Benson e Craig (2014). Per definizione, esso presuppone che vi sia uno stato “ideale” (potremmo dire “normale” nella terminologia forestale) di questi sistemi che l’uomo può teoricamente mantenere indefinitamente, nell’ambito di un certo campo di variazione. Questo approccio implica che (i) l’uomo possa conoscere tale stato in modo da poter definire supposti “obiettivi di sostenibilità”, e che (ii) i sistemi reagiscano agli interventi in modo strettamente prevedibile e che sia quindi sempre possibile predirne le conseguenze in termini sia funzionali che strutturali. Ma il primo è un concetto ambiguo in un contesto ambientale e socioeconomico in continua evoluzione e per quanto riguarda il secondo un vasto insieme di evidenze scientifiche e operative dimostra che i risultati predetti raramente sono raggiunti nel caso della gestione dei sistemi socio-ecologici (Anand et al. 2010, Benson e Craig 2014). Si ritiene dunque più efficace passare a una governance ambientale in una ottica sistemica, assumendo la sostanziale impredicibilità dei sistemi socio-ecologici come riferimento metodologico e considerando come centrale la fase di osservazione e apprendimento delle reazioni del sistema al fine di poterne sostenere la resilienza (Ciancio e Nocentini 1997, Chapin III et al. 2009, Filotas et al. 2014). La gestione sistemica cerca di migliorare in modo iterativo la prassi operativa e di adattarsi al cambiamento imparando via via dai risultati delle pratiche sperimentate (Ciancio e Nocentini 1997). L’obiettivo non è mantenere o raggiungere una condizione “ottimale” della risorsa (che, ripeto, è un concetto ambiguo in un contesto ambientale e socioeconomico in continuo cambiamento) ma piuttosto di sviluppare una capacità di gestione ottimale (i) cercando appunto di sostenere la resilienza del sistema (Carpenter et al. 2001) in modo che sia sempre in grado di reagire adeguatamente agli impatti, e (ii) generando flessibilità sia nelle istituzioni che nelle aspettative dei portatori di interesse, a fronte di condizioni sempre mutevoli. Sul piano pratico, questo approccio è da tempo all’attenzione operativa di decisori politici e gestori delle risorse naturali (v., a esempio, Benson e Garmestani 2011).
3. Più breve il commento sul termine “servizi”, che, sebbene originato dal positivo tentativo di riconoscere un valore all’insieme di utilità che gli ecosistemi possono fornire alla Società (http://www.millenniumassessment.org), a me pare improprio quando si parla di ecosistemi, in quanto rimanda a una visione antropocentrica di tipo radicale, dove la natura ha una posizione di sudditanza rispetto all’uomo: quasi che quest’ultimo possa disporne arbitrariamente. Di fatto, sulla Treccani alla voce “servizio” appare come primo significato appunto questo concetto: “rapporto di soggezione o sudditanza”. Il termine “utilità” mi sembra più appropriato all’uopo, tra l’altro con un significato ben definito sotto il profilo storico-giuridico (rinviando a un uti-frui che in sé presuppone un approccio rispettoso e responsabile: “usare” e “fruire” presuppongono la conservazione del bene). Parlare di “utilità ecosistemiche” ci aiuta a ricordare, più e meglio di “servizi ecosistemici”, che l’uomo è dentro il sistema, fa parte del sistema e può giustamente ricavarne benefici, come ogni altro essere vivente, ma non può disporne a suo assoluto piacimento. Ovviamente, l’intervento antropico, incidendo sulla struttura e funzionalità del sistema, provoca sempre un certo impatto, ma questo può e deve essere contenuto entro i limiti della resilienza (v. quanto osservato al punto 2): questo approccio implica una concezione di rispetto e responsabilità nei confronti della natura (Corona e Portoghesi, 1997), non di dominio.
4. Qualcuno obietterà che quelle di cui sopra sono marginali disquisizioni terminologiche, o tutt’ al più semantiche. Io invece sono convinto che sempre dietro i fatti, ci sono le idee. Le idee sono uno dei principali motori della Storia. E il veicolo delle idee è il linguaggio. “È indispensabile promuovere l’elaborazione di un chiaro linguaggio forestale”: è questo un passaggio della mozione finale del Congresso che condivido in modo particolare.
5. Riferimenti

  • Anand M., Gonzalez A., Guichard F., Kolasa J., Parrott L., 2010. Ecological systems as complex systems: challenges for an emerging science. Diversity 2: 395-410.
  • Benson M.H., Garmestani A., 2011. Can we manage for resilience? The integration of resilience thinking into natural resource management in the United States. Environmental Management 48: 392–399.
  • Benson M.H., Craig R.K., 2014. The end of sustainability. Society & Natural Resources 27: 777-782.
  • Carpenter S., Walker B., Anderies J.M., Abel N., 2001. From metaphor to measurement: Resilience of what to what? Ecosystems 4: 765–781.
  • Chapin III F.S., Kofinas G.P., Folke C. (a cura di), 2009. Principles of ecosystem stewardship: resilience-based natural resources management in a changing world. Springer, New York.
  • Ciancio O., Nocentini S., 1997. The forest and man: the evolution of forestry thought from modern humanism to the culture of complexity. Systemic silviculture and management on natural bases. In: Ciancio O. (a cura di), The forest and man. Firenze, Accademia Italiana di Scienze Forestali, pp. 21-114.
  • Corona P., Portoghesi L., 1997. Notes on ethics in silviculture. In: Ciancio O. (a cura di), The forest and man. Firenze, Accademia Italiana di Scienze Forestali, pp. 183-195.
  • Filotas E., Parrott L., Burton P.J., Chazdon R.L., Coates K.D., Coll L., Haeussler S., Martin K., Nocentini S., Puettmann K.J., Putz F.E., Simard S.W., Messier C., 2014. Viewing forests through the lens of complex systems science. Ecosphere 5 (1): 1-23.
  • Folke C., 2006. Resilience: the emergence of a perspective for social-ecological systems analysis. Global Environmental Change 16: 253-267.

 
Piermaria Corona
(Presidente SISEF, Direttore del Centro di Ricerca per la Selvicoltura CRA-SEL)

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