EDITORIALE: Quando si dice degli effetti del “Climatic Change”…

Secondo il testo di una legge recentemente promulgata dalla Regione Puglia, sembrerebbe che questo territorio sia interessato da caduta di “valanghe” (L.R. 12/2012, art. 2, comma 1, subcomma 2: “Gli interventi di trasformazione del bosco sono vietati, fatte salve le autorizzazioni rilasciate dagli enti preposti attraverso un procedimento unico teso alla semplificazione della procedura, coordinato dal competente Servizio foreste, compatibilmente con la conservazione della biodiversità, con la stabilità dei terreni, con il regime delle acque, con la difesa dalle valanghe e dalla caduta dei massi, con la tutela del paesaggio, con l’azione frangivento”), forse precoce effetto del cambiamento climatico in atto!
Questa “perla” dà lo spunto per alcune riflessioni sul tema. Il livello di consapevolezza sulla crisi climatica continua a crescere. La percezione è concretamente supportata da evidenze scientifiche, a partire dall’innalzamento del livello di CO2 in atmosfera (nel 2011, le emissioni globali di CO2 da combustibili fossili hanno raggiunto 31.6 gigatonnellate, circa il 3% in più dell’anno precedente). D’altro canto, risulta significativo il divario tra ciò che dovrebbe essere fatto per contrastare questo fenomeno e le azioni effettivamente intraprese a livello locale, nazionale e internazionale.
Un esempio sono stati i recenti Climate Talks, che hanno visto riunite a fine maggio a Bonn le Parti (circa 3000 partecipanti provenienti da 181 Paesi) della Conferenza ONU sul Cambiamento Climatico (UNFCCC). L’incontro avrebbe dovuto essere una tappa negoziale fondamentale verso la prossima Conferenza delle Parti, la diciottesima sul clima, in programma per fine novembre a Doha (Qatar). Sebbene dopo due settimane di lavoro alcuni risultati siano stati raggiunti, gran parte dell’impegno è stato dedicato a cercare di risolvere questioni procedurali. Le difficoltà sono legate soprattutto alle necessità di rendere operativi i meccanismi concordati a Durban. Sono stati discussi, ma le decisioni rimandate a Doha, gli accordi sulla durata del secondo periodo di impegno nell’ambito del Protocollo di Kyoto (dopo sei anni di negoziato sul post-2012, non è ancora deciso se questo secondo periodo sarà di cinque od otto anni) e sugli emendamenti al testo del Protocollo, compresi quali debbano essere le soglie di riduzione delle emissioni da parte dei Paesi industrializzati; è stata inoltre rimandata la riunione del Fondo Verde per il Clima. Quello che emerge è una lentezza che forse porterà verso Doha ancora con un nulla di fatto. La auspicata prospettiva sarebbe invece di accelerare l’adozione di sistemi di produzione più efficienti sotto il profilo energetico, di orientare in modo più consistente i consumi verso modelli di sostenibilità e di valorizzare i progetti a supporto della conservazione della biodiversità e della gestione sostenibile degli ecosistemi.
Il processo UNFCCC ha bisogno di mostrare che è (ancora) in grado di condurre a risultati concreti. Il Protocollo di Kyoto non è mai stato ratificato dagli USA, il Canada l’ha abbandonato lo scorso anno e, secondo alcuni osservatori, altri importanti paesi quali Russia e Giappone lo seguiranno. Di fatto, la crisi del contrasto ai cambiamenti climatici non è causata tanto dalla mancanza di opzioni programmatiche e soluzioni tecniche quanto piuttosto dalla carenza di una azione politica condivisa.
Piermaria Corona, Presidente SISEF

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Direttore CREA - Foreste e Legno, Arezzo

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