In corso la COP16 per la biodiversità a rischio

COP16
Al via la COP16 di Cali, la prima occasione per valutare i progressi globali nella tutela degli ecosistemi e della diversità biologica, e per tracciare una rotta concreta per migliorarli.

Dove eravamo:

Durante la COP15 del 2022 di Montreal, 196 nazioni hanno firmato un accordo storico chiamato Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF), il cui obiettivo è di fermare e invertire la perdita di natura entro il 2030. Viene spesso descritto come “l’accordo di Parigi per la natura”.

Il GBF contiene una serie di 4 obiettivi e 23 target, che mirano collettivamente a invertire il rapido declino della biodiversità entro il 2030 e “ripristinare l’armonia con la natura” entro il 2050.

Uno degli obiettivi più noti del GBF proteggere il 30% delle terre e dei mari e a ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030 (comunemente nota come “30 by 30 strategy”). Altri obiettivi includono: ridurre della metà il rischio da pesticidi, ridurre della metà le acque alimentari, ridurre della metà l’insediamento di specie invasive, aumentare gli spazi verdi urbani, integrare la biodiversità nelle politiche di tutti i settori e nei piani aziendali, ridurre i sussidi dannosi per la biodiversità di almeno 500 miliardi di $ (cioè quelli erogati dai governi per sovvenzionare attività imprenditoriali note per danneggiare la natura, come l’allevamento di carne su larga scala e l’estrazione di combustibili fossili), e raccogliere almeno 20 miliardi di $ all’anno entro il 2025 per la conservazione della biodiversità nei paesi in via di sviluppo.

Tenendo conto della responsabilità storica della perdita di biodiversità negli ultimi 60 anni, il think tank Overseas Dvelopment Institute ha calcolato una “quota equa” che ogni Paese dovrebbe mettere a disposizione per raggiungere l’obiettivo dei 20 miliardi all’anno. Nel 2022, l’anno più recente per cui sono disponibili dati, solo Norvegia, Svezia e Germania hanno contribuito in modo coerente con la loro “quota equa”, mentre ad esempio Regno Unito, Italia e Canada hanno contribuito ciascuno con meno del 40% della loro quota.

Come parte dell’accordo, i paesi hanno concordato di presentare nuove Strategie e Piani d’Azione Nazionali per la Biodiversità (NBSAP) entro la COP16 attualmente in corso a Cali in Colombia. I NBSAP sono progetti su come i singoli paesi intendono contrastare la perdita di biodiversità, in modo da raggiungere gli obiettivi delineati nel GBF. Per continuare con le analogie con l’accordo di Parigi, i NBSAP sono simili agli NDC, ovvero i contributi determinati a livello nazionale che delineano come i singoli paesi intendono raggiungere gli obiettivi di riduzione e azzeramento delle emissioni climalteranti. Tuttavia, una differenza fondamentale c’è: i paesi sono legalmente obbligati a presentare gli NDC, ma non gli NBSAP.

L’assenza o l’inadeguatezza dei NBSAP  è stata ampiamente citata come uno dei principali fattori alla base del fallimento dell’ultima serie di obiettivi globali sulla biodiversità, ovvero i 20 obiettivi di Aichi sulla diversità biologica (Aichi Targets) stabiliti nel 2010. Ecco perché molti occhi erano puntati sulla COP16 di Cali, nella speranza che i Paesi sottomettessero o aggiornassero i loro piani Eppure, a metà ottobre 2024, sono solo 25 gli Stati che hanno presentato un piano nazionale (National Biodiversity Strategies and Action Plans, NBSAP). Ne mancano altri 170, circa l’85%. I ritardi sono per lo più dovuti al prolungarsi degli ampi processi di consultazione messi in atto arrivare ad una strategia di monitoraggio, finanziaria e di comunicazione condivisa., come sta avvenendo ad esempio per il Brasile, oppure al fatto che gli aiuti messi a disposizione dai Paesi sviluppati per implementare le misure di conservazione vengano ritenuti ancora insufficienti dai Paesi in via di Sviluppo, come sostenuto dall’India, che ha anche difficoltà ad adeguarsi agli obiettivi sulla riduzione del rischio da pesticidi in agricoltura, a causa del suo status di Paese agricolo e dei requisiti di sicurezza alimentare. Ancora, alcuni Paesi, come il Venezuela, hanno avanzato seri dubbi e opposizioni all’attuazione di meccanismo di mercato volontari, come i crediti per la biodiversità o per il carbonio.

L’UE ha già depositato la propria strategia, che deve però essere confermata da ogni Stato membro con una propria Strategia nazionale. Germania e Regno Unito hanno mancato la scadenza. L’Italia, invece, ha approvato la sua Strategia nazionale per la biodiversità nell’agosto 2023, con due obiettivi chiave: il rafforzamento delle aree protette (30by30, di cui un terzo a tutela rigorosa) e il ripristino degli ecosistemi marini e terrestri ad alto tasso di assorbimento del carbonio, rinaturalizzando i corridoi ecologici con soluzioni basate sulla natura. L’Italia si è impegnata inoltre a ridurre del 50% i rischi e l’uso di prodotti fitosanitari, in particolare quelli più pericolosi, a destinare almeno il 10% delle superfici agricole a elementi paesaggistici caratteristici ad elevata diversità, a utilizzare almeno il 25% dei terreni agricoli per l’agricoltura biologica e ad aumentare significativamente la diffusione di pratiche agricole e zootecniche sostenibili, e a ridurre l’inquinamento da azoto e fosforo causato dai fertilizzanti dimezzando le perdite di nutrienti e riducendo l’uso di fertilizzanti di almeno il 20%.

Cosa si negozia:

Un tema che sarà fondamentale per il successo della COP16 è la condivisionedelle informazioni sulle sequenze digitali delle risorse genetiche (DSI, Digitial Sequence Information) in agricoltura. Oggi molte industrie, come farmaceutica, cosmetica, bioplastica, tessuti, mangimi per animali, analizzano versioni digitali del DNA per individuare geni utili per i loro prodotti. Le sequenze utili così individuate vengono digitalizzate, creando una DSI. Se le DSI restano di proprietà delle aziende multinazionali, si va verso una privatizzazione di fatto della natura e della biodiversità. Regolare l’uso di DSI è anche un modo con cui raccogliere risorse finanziarie importanti per la tutela della diversità biologica. Si discuterà dunque di come condividere in modo equo e imparziale i benefici derivanti dalla ricca ricchezza genetica della biodiversità.

Mentre blocchi come l’UE favoriscono i database ad accesso aperto, il Gruppo africano ha proposto che la CBD (Convention on Biological Diversity) istituisca il proprio database, in cui il DSI è reso pubblico solo con il previo consenso dei fornitori di materiale genetico. Chi versa nel fondo, dove è ospitato il fondo, come dovrebbero essere attivati ​​i benefici, dove dovrebbe fluire il denaro e per cosa viene speso sono altri punti di divergenza su cui si discute a Cali, con ramificazioni per l’industria, il mondo accademico e i governi.

Un altro aspetto critico in discussione è il quadro di monitoraggio del GBF. Molti paesi del sud del mondo ritengono che le regole di monitoraggio dovrebbe essere flessibili e volontarie per tenere conto delle differenze di capacità e risorse tra i diversi paesi. Infine, alcuni Paesi stanno chiedendo l’inclusione di un “consenso libero, preventivo e informato” da parte delle nazioni indigene e delle comunità locali (IPLC), sostenendo la necessità che questi soggetti debbano essere consultati sui progetti che interessano i loro territori e abbiano il diritto di concedere o negare il loro consenso, con riflessi per gestione dei dati, i DSI e la finanza per la biodiversità.

Alla COP16 partecipano 196 paesi, inclusa l’UE, ovvero, tutti i paesi del mondo tranne gli Stati Uniti (i parlamentari repubblicani hanno impedito agli Stati Uniti di aderire alla CBD, citando preoccupazioni sulla “sovranità americana” e sugli “oneri finanziari” da sostenere) e la Santa Sede, l’organo di governo del Vaticano.

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