L’importanza della gestione forestale nella prevenzione degli incendi
Nelle ultime ore il grande incendio del Montiferru (OR) ha rallentato la sua avanzata. Si è sopito lo scirocco che aveva spinto le fiamme su un’area di circa ventimila ettari in appena quattro giorni. Le fiamme avanzano più lentamente, sprigionano meno calore e possono essere avvicinate dalle squadre di spegnimento con maggiore sicurezza e efficacia.
Ma come prevenire eventi simili in futuro?
Quando si parla di prevenzione degli incendi boschivi, in molti pensiamo a una strategia di sorveglianza: pattuglie, punti di avvistamento, magari il supporto dei droni per cogliere sul fatto l’incendiario di turno o individuare il pericolo al primo filo di fumo. Ma concentrarsi su questi aspetti è fuorviante e pericoloso. Fuorviante, perché non tutti gli incendi hanno causa dolosa: la mano dell’uomo è quasi sempre coinvolta nell’innesco delle fiamme, ma spesso in modo colposo o indiretto. Sono molti gli incendi innescati inavvertitamente da marmitte roventi, scintille lungo le linee ferroviarie, elettrodotti malfunzionanti. Pericoloso, perché non è sufficiente avvistare presto un incendio per limitarne la minaccia: se l’incendio assume da subito un comportamento estremo, come sembra essere stato il caso del Montiferru, gli operatori non possono lavorare in sicurezza e le fiamme dovranno essere lasciate libere di muoversi.
La prevenzione più efficace agisce invece sulle cause remote. A scala planetaria, ogni evento estremo porta con sé la “firma” del riscaldamento globale: per essere “mitigato” richiede che intensifichiamo la lotta alle nostre stesse emissioni, con l’obiettivo di arrivare al più presto alla neutralità carbonica e di iniziare a riassorbire, proprio grazie alle superfici forestali, parte della CO2 in eccesso che è la causa del clima impazzito. Ma lavorare sulla mitigazione non basta: dobbiamo anche mettere in atto strategie di adattamento, perché almeno per qualche decennio gli effetti del climate change continueranno a intensificarsi.
Ma cosa significa per gli incendi? E’ possibile rendere un bosco “impermeabile” alle fiamme?
E’ proprio questo l’obiettivo della selvicoltura preventiva: ridurre l’infiammabilità del bosco per aumentare la sua resistenza alle fiamme, accelerare la ripresa della vegetazione nelle aree colpite, incrementare la sicurezza e l’efficacia delle operazioni antincendio. Per capire quali strategie adottare, pensiamo all’ultima volta che abbiamo acceso un fuoco, una stufa o un caminetto scoppiettante. Per ottenere una fiamma brillante dovremo usare non solo la giusta quantità di legna (il “carico” di combustibile); la migliore combustione si ottiene anche scegliendo la legna più secca, quella più piccola, e formare una struttura con più strati continui che permettano allo stesso tempo il passaggio dell’aria. Sono proprio queste le caratteristiche “bersaglio” della selvicoltura preventiva: il carico della vegetazione combustibile, il suo grado di secchezza, le dimensioni dei suoi elementi, e la sua distribuzione orizzontale e verticale.
E’ possibile allora provare a “calmare” il comportamento degli incendi futuri: aumentando lo spazio tra un albero e l’altro (è l’obiettivo del diradamento e della creazione di viali tagliafuoco), riducendo la vegetazione che potrebbe permettere al fuoco di risalire le chiome degli alberi (con le spalcature dei rami secchi o con il pascolo prescritto della componente arbustiva), eliminando parte del carico di combustibile fine e secco depositato a terra sotto forma di lettiera o piccoli rami (ad esempio con la tecnica del fuoco prescritto). Si tratta di interventi impattanti sull’ecosistema bosco? Certamente sì. Ma hanno il potere di impedire eventi ancora più dannosi per il bosco e la sua biodiversità, come è stato dimostrato nelle aree trattate con selvicoltura preventiva nei grandi incendi di Castel Fusano nel 2000 e del Vesuvio nel 2017, oltre a ripetute dimostrazioni di efficacia (e purtroppo di non efficacia in assenza di trattamento) in altri Paesi mediterranei, dal Portogallo alla Francia.
Non è necessario estendere queste operazioni su superfici molto ampie. Come si insegna nell’unico centro italiano di addestramento per operatori antincendi boschivi, quello che la Regione Toscana gestisce alla Pineta di Tocchi di Monticiano (SI), la selvicoltura preventiva viene programmata utilizzando simulazioni computerizzate del comportamento degli incendi. Inserendo informazioni relative al tipo e al carico di vegetazione combustibile, alla conformazione di un territorio, all’umidità e al vento e a eventuali punti di innesco delle fiamme i simulatori sono in grado di prevedere non solo l’intensità e la velocità di un incendio, ma anche le direzioni preferenziali di propagazione, e i punti dove è più alta la probabilità di un “passaggio in chioma”. Sono questi, insieme alle aree immediatamente circostanti le case, i campeggi e le strade a alta percorrenza, i settori strategici dove intervenire; aree circoscritte, dove dare priorità alla sicurezza pubblica può risparmiare dalle fiamme ampie porzioni di paesaggio e della sua biodiversità.
In territori frequentemente colpiti da megaincendi, come la California o la Spagna, si sperimentano altre tecniche per la prevenzione “forestale” degli incendi boschivi. Nel Golden State, ad esempio, vengono riprese in mano le tecniche ancestrali delle nazioni native: non solo un uso più esteso (anche se ancora insufficiente) del fuoco prescritto, cioè del passaggio scientifico e controllato di una fiamma bassa per consumare parte della vegetazione fine e sottrarre così “benzina” a un futuro incendio. Ma anche una selvicoltura differente, chiamata “a rilascio variabile”, che punta all’aumento dell’eterogeneità del bosco: una alternanza di alberi isolati, gruppi di piante, e aree aperte, che rompe la monotonia del bosco fatto da alberi vicini e tutti uguali, offre un maggior numero di habitat per la biodiversità, e rallenta la propagazione delle fiamme grazie alla mancanza di continuità tra un albero e l’altro.
In Spagna, invece, si investe sullo sviluppo di coltivazioni, vigneti e pascoli alternati alla foresta, che possano generare prodotti agroalimentari di qualità come vino e formaggio e al tempo stesso svolgere il ruolo di grandi “aree tagliafuoco” interrompendo la continuità del bosco. Nuovi modelli imprenditoriali che possono produrre vantaggio per gli agricoltori e gli allevatori locali, creare posti di lavoro nelle zone rurali e ridurre la predisposizione dei territori ad essere percorsi da grandi incendi.
Infine, come per ogni intervento di gestione responsabile e sostenibile del bosco, la selvicoltura preventiva deve essere messa in atto da personale formato (di cui alcuni territori ancora scarseggiano) e inquadrata in una più ampia pianificazione territoriale e forestale. Significa conoscere bene il bosco, individuare i benefici offerti da ciascuna sua parte alla società (produzione di legno, protezione dal dissesto, assorbimento di carbonio, habitat…), prevedere la sua evoluzione e le sue vulnerabilità, e programmare azioni a lungo termine per assicurare che quei benefici durino nel tempo – inclusa la prevenzione dei danni climatici e da incendio. Una strategia che purtroppo riguarda meno del 20% delle foreste italiane: estenderla al più presto a tutti i boschi del nostro Paese, investendo risorse pubbliche nel monitoraggio e nella redazione dei piani di gestione, è l’obiettivo più urgente per mantenere una buona relazione con le foreste e, in fondo, aiutarle ad aiutarci nel momento in cui ne abbiamo più bisogno.
Info Autori
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia (DISAA)
Università degli Studi di Milano